Il seme

Alla fine, ho deciso di occuparmi della tua casa.

Sono diventata una governante ordinata e severa.

Tu lo sai, non sono brava, in certe cose. Altre mani, più accudenti delle mie, si occupano oggi del tuo corpo e dei suoi bisogni. Io, invece, metto a posto le tracce della tua vita: a casa tua, ogni cosa parla di te e della donna che sei stata. 

Ho sistemato le piante sul balcone, gettato vecchie riviste, spaghi, piatti sbeccati. Ho tolto la polvere, messo in ordine i tuoi libri, gli appunti nascosti tra le pagine; in alcuni di essi raccontavi dei tuoi momenti di sfasamento, di quella volta in cui un signore gentile ti aveva accompagnato a casa: era da un paio d'ore che vagavi da sola, senza ricordare dove abitassi.

La tua grafia è minuta, con le asole strette. Precisa, seria, inappuntabile. Ho scoperto una vecchia cartolina di Ostuni che raffigura una donna anziana seduta sui gradini del Barco. Non sapevo che amassi anche tu la città bianca, che strano caso; in Puglia ti ci ho portata una volta, era Trani, ricordi? La luce dell'est ti piaceva, è molto diversa da quella di qui.

Mamma.

Mi sono abituata all'assenza della tua voce - fino a pochi anni fa avevi un timbro da ragazza - e, per qualche misteriosa ragione, mi sono convinta che potessero bastarmi il tuo sguardo e le tue mani. 

La tua voce è però ovunque,  traccia i miei confini come sempre. Con la tua capacità di raccontare l'incanto anche quando mi dicevi "credi pure alle cose, ma fallo a metà". Ho imparato? Non lo so, e neppure m'interessa. 

Se amo tanto la vita lo devo solo a te, che sei stata caparbia e forte. È questo il seme che hai piantato dentro di me, mamma, la sola cosa che posso raccontare mentre sistemo le tracce di te e provo a riordinare un passato di cui tanto ignoro. D'altronde, un figlio conosce soltanto gli scarti di saggezza di un genitore, quasi nulla dei suoi veri dolori. 

Io so però la tua voce di madre.

Il suo sprofondo vertiginoso ancora illumina la mia vita.

 



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