Quando i poeti dialogano: Cinzia Caputo e Lello Agretti
(Come dialogano, tra di loro, i poeti?
Di cosa parlano?
Qual è il linguaggio segreto che muove le loro conversazioni? Roba da affidare a lettere scritte a penna, o a mail da inviare di notte al destinatario, quando tutto tace, e si vuole preservare qualcosa di vero che vive e palpita, ancora...
Ho l'onore di ospitare, in questo post, un dialogo serrato tra la poetessa Cinzia Caputo e il poeta Lello Agretti.
Mi sento un'intrusa, provo a farmi da parte.
Taccio.
Ascolto...)
Ascendere (Lello Agretti)
Sono i penultimi passi però
fantasmi e paure abitano
i miei giorni ancora.
Sui vetri della finestra
come incorniciate
non opere maestose scorrono
ma deserti e mari attraversati
immagini di paesaggi scorci di stagioni
rivedo le ore buie e quelle tremende
incontri felici con maestri
con le amate per sempre…
Ecco delicate figure
ora vivide sembianze
adesso certe voci come di nostalgia
passano i ponti gettati tra me e l’intorno
sempre portando
in palma di mano il cuore
nulla che non fosse visione ho seguito
nulla che non bisbigliasse
all’anima mia così aperta.
Eppure dopo tanto spaziare
è come se mai fossi partito
mi ritrovo un metro dall’inferno
le stelle lontanissime.
Saprò farmi bastare
l’ultimo sputo d’esistenza
o stremato insorgerò contro il Cielo?
Quale sorte mi attende?
Imprecare o pregare?
La cecità del transito o una fiammella
mi farà intravedere l’uscita laterale?
Al punto in cui sono mi chiedo
dove troverò la Maiuscola Forza
per sottrarmi all'orizzontale Destino
superare la Disgrazia e finalmente
ascendere?
[27 ottobre 2021]
La voce senza recinti (Lello Agretti)
Avvezzi ormai agl’indizi
un giorno ci scopriremo erba
per un volo d’ombra
ramo al lieve suo posarsi
infine docile resa come
crepuscolo al lume.
Lontani dalla Storia
avanzeremo sgranando corone
nessuna Grandezza attenderà
il nostro arrivo eppure
una sparsa contemplazione
rapirà ogni nostro senso.
Prima di noi secoli d’uomini
udirono la voce senza recinti
dopo Nord è la meta ma la distanza
non impaura perché
ci fu destinato un nido superbo
inespugnabile.
Ah tempo dell’assenza
tempo promettente
accompagna questo viaggio
rivelaci come
restituire al mare aperto
un silenzio alla deriva.
[11 maggio 2022]
Carissimo Lello, Poeta lo sei dell’Anima che mi colpisce per essere così aperta, mai verso ti fu più sembiante, ti vedo su vette altissime godere dell'ampio paesaggio, senza mancare di attraversare l'infernale deserto delle domande che pesano sul cuore.
Un viaggio dantesco, definirei il tuo: a rivelarci come restituire al mare aperto un silenzio alla deriva.
Il tuo pudore, come tu giustamente scrivi, è quello dell’angelo che nasconde il suo mistero, eppur lascia trasparire deo concedente qualche bagliore del suo splendore, così la tua estrema sensibilità mette a nudo la realtà, vede in trasparenza e ci legge dentro. Sì, la tua parola scandaglia il profondo, va oltre l’apparenza e strappa la maschera che ci confonde. La tua Anima si siede affianco e mi racconta che: In certe ore, quando il tempo prende la via della lentezza e una specie d'assenza t'allontana dal mondo, può accadere di trovarti in atmosfere così cariche di suggestioni e richiami da farti esclamare: ecco, così deve essere un miracolo...
E di Miracolo tu mi parli quando dici: torniamo alla realtà diversa che, improvvisamente, si palesa allo sguardo. Perché resta in vita solo per pochissimo tempo? Forse perché il suo tratto distintivo è, propriamente, l’epifania? O a farla svanire è l’atto di tornare a noi stessi nel tentativo di ridurla alle nostre necessità, di impossessarcene? Com'è che, pur recuperando il filo che al miracolo ci teneva, giunti alla sua fine non troviamo la realtà seconda, ma quella di tutti i giorni, che da sempre ci circonda, talmente tanto da non avvedercene?...Ti rispondo con le parole del nostro amato poeta Rilke che ci ricorda la nostra impossibilità nel dire, di far coincidere ormai, il nome con la cosa. E che solo la poesia e il canto, per un momento possono permettersi, come Orfeo con Euridice di incontrarsi. Sii prima d’ogni addio, come fosse già dietro/ di te, come l’inverno, che già ora finisce …/ Sii sempre morto in Euridice, innalzati cantando, /e, celebrando, innalzati di nuovo al rapporto puro./ Qui, tra color che passano, sii, nel regno del declino, /un cristallo che suona, e che nel suono già s’infranse(1). Così come anche tu ti rivolgi ad Euridice come anima che ti dorme affianco: Accanto mi dorme una donna. Ma dovevo io stesso dormire; essere, cioè, certamente salpato verso una nuova deriva, obliando sopra una chiatta o precarissimo legno. Obliando, obliando; così non l’ho udita mentre posto prendeva tra le lenzuola. Adesso, però, il blu della notte va scolorando; l’alba, lenta lenta, viene allungandosi fino al terrazzo e, a uguale passo, a me faccio ritorno, percependo più e più chiaramente la sorprendente presenza: immensa e discreta, irraggiungibile e calda, impossibile riva. Assisto partecipe; mi sfiora il bordo di un pensiero: forse, nemmeno voglio quel lido toccare. Temo che se muovo perfino il piede – che sta laggiù, da noi tanto lontano – lei possa avvertire, comunque, lo scarto e, come silente è arrivata, silenziosa svanire. Ora che è qui, è troppo importante che resti; così me ne sto di spalle, attento a non battere ciglio, immobile più che posso; lo stesso respiro provo a fare morire. Rimarrà fino a che resto fermo.
E il poeta sa che le parole sono potenze che attendono di essere rivelate, la loro parola deve essere ispirata per poter dire il non dicibile, come l’essere di Heidegger, che appare disparendo e comparendo dispare.
Ora che lo spazio, intorno, s'è arreso, un’altra parola sarà corruzione; sottrarrà potenza, soffocherà la chiara volontà d'affermazione. Questi appunti, allora, non come uguale necessità d'eterno, ma per l'antico bisogno d'attrarre alle nostre ragioni; per esporre una visione che, lungo il tempo, è venuta facendosi intendimento; perché si dicano questi altri versi, a parte.
Potessero pronunciarsi e poi svanire, divenire filigrana e rivelarsi solo controluce; potessero, come impronta, restare dentro il bianco, affacciarsi soltanto se un altro chiede, se toccato, avverte il muto assenso della neve.
Quello che sento in te è una sincera e genuina esigenza insopprimibile che apre le porte dell’anima, è un viaggio di amore e conoscenza, di noi e del nostro rapporto con noi stessi e con l’altro in noi. La parola è già conquista, la poesia ha una straordinaria valenza simbolica che conferma la parola e le dà durata e memoria. In questo senso la parola è costruita sulla ricerca della verità.
In questi mesi t'ho amato per anni
d'un sentimento così santo che il paradiso
(qui tutto è un angolo)
se lo guardo non m'attrae
d'una nostalgia che ancora non s'arrende
e muove i penultimi giorni
non in vista dell'angelo
o dove tutto è già annuncio
ma all'appena carezza
di madre.
T'ho amato per anni in questi mesi.
Nascosto al mondo e a me stesso
ho pregato che un cenno venisse
alla mia parte.
Come a chiusa di rosario questa rinnovavo
mi ripetevo
la pazienza è tutto.
Una nuda felicità
ora conduce i miei elementi
e queste mani ma più
è lasciarti andare.
In te la poesia si manifesta come Assoluto nel Finito, paradossalmente impossibile a realizzarsi, dal momento che l’arte in generale, non riuscendo a conciliare in sé finito e infinito, umano e divino, temporalità ed eternità, ne testimonia piuttosto l’incolmabile distanza: la poesia è questa stessa tensione alla conciliazione, che però si rivela irrealizzabile. In particolare, la scrittura implica una distanza che è da intendere non come una separazione astratta tra l’opera e il lettore, bensì come una dimensione che rende impossibile una fruizione immediata dell’opera stessa, obbligando così a una “ad-tensione” e quindi a una comprensione infinita. Questo significa che il verso riserva sempre qualcosa che eccede ogni spiegazione, nel senso che la sua essenza non è mai del tutto disvelabile. La poesia, per me, rappresenta la forma più elevata dell'esigenza di trasformare, e in te trovo, come scrive il grande Baudelaire: un poeta che come il danzatore sa di doversi spezzare "mille volte in segreto le ossa prima di presentarsi in pubblico".
(1) Rilke R.M. Sonetti ad Orfeo, Feltrinelli Milano 1991 p.97
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