I vagabondi, di Olga Tokarczuk
Olga Tokarczuk è uno di quegli autori che ti entrano nella pelle. Confesso che non la conoscevo se non come vincitrice di un Nobel, almeno finché non mi sono imbattuta ne "I vagabondi", titolo italiano dato al quasi intraducibile "Bieguni ": raccolta di visioni, sensazioni, illuminazioni sul senso del viaggio. O, meglio, dello spostamento/spaesamento. "I racconti hanno una specie di inerzia propria, che non si può mai controllare fino in fondo. Richiedono gente come me, insicura, indecisa, facile da sviare, ingenua", ci dice la Tokarczuk. La distanza che il viaggio crea, rispetto al quotidiano, è capace di darci qualche risposta sul nostro essere qui o, quanto meno, aiuta a porci delle domande. "Forse esiste una specie di riflesso del grande e del piccolo, il corpo dell'uomo collega in sé il tutto con il tutto?", si chiede la Tokarczuk. Lo spostamento è vita, rompe lo schema, la ripetizione, la contabilità ordinata dei giorni