Tu resti qui


Mia madre deve aver intuito.
“E insomma, cosa fai?, frequenti fantasmi?” mi ha detto domenica mentre lavavo i piatti in cucina e pulivo i ripiani, facendo ordine nel caos delle sue cose. Lei, nei suoi discorsi ancora sensati, ricorda gli apparecchiuzzi che sorvolavano la città durante la seconda guerra mondiale, gli alleati che bombardavano e distruggevano il centro storico per colpire i nemici in fuga. Mi è parso dunque molto strano che i suoi ragionamenti fossero stati interrotti da una simile domanda. Non ho avuto argomenti per risponderle. Era così perfetta, la descrizione della mia vita sentimentale, che mi sono limitata a darle un bacio sulla fronte.

Nel ribaltamento dei ruoli che ci riguarda, abbiamo scoperto la tenerezza. Si abbandona ai miei slanci affettuosi, proprio lei, la donna distante che era abituata a dirmi sempre: “Cedi troppo spesso al tuo temperamento”.

Ho realizzato tardi di aver avuto genitori anziani che non avevano né la forza, né la voglia, di giocare con me. Ho vaghi ricordi di riunioni familiari, incontri che mi rendevano felice, la tavola intorno a cui ci siedevamo, le chiacchiere delle zie, io in braccio a mio padre. Poi, come un fulmine a ciel sereno, i litigi una volta tornati a casa, che mi sgomentavano perché non li comprendevo.

Il senso d’inadeguatezza mi è stato trasmesso allora, il senso d’inadeguatezza è il mio stesso modo di essere. E’ nei maglioni informi in cui mi nascondo, nei capelli che tingo in casa, nella cellulite che mi circonda i fianchi in un abbraccio rassicurante.

Le foto degli anni dell’infanzia mi ritraggono intenta a stropicciare la tovaglia con gli occhi bassi mentre, davanti a me, campeggia una grande torta con tre, quattro candeline. Nelle prime foto sono bionda e magra, poi il colore dei miei capelli cambia, diventa tiziano e io sono già divenuta una bambina cicciottella. Ma l’espressione degli occhi è sempre la stessa: impaurita.
Noi viviamo di quello che siamo stati, ci muoviamo nel passato molto più che nel futuro, sperando sempre di rifare la vita. Ma la vita non si rifà, scorre.

Ero poco più che un’adolescente quando persi la verginità, nonostante la malagrazia dei miei chili di troppo e l’impaccio dei miei seni troppo grossi. Divenne quello il mio grande segreto, e mi scoprii capace di scindere la realtà in due parti, una delle quali era solo mia. Mia madre mi diceva “Devi dimagrire, sennò chi ti piglia?”, e io pensavo al ragazzo che si beava dei miei fianchi larghi. Eppure, una volta tornata a casa, tutto scompariva in fretta per fare spazio a una ragazza incapace di fare i conti con le cose. La mia frequentazione con i fantasmi iniziò allora, ed io sono sempre stata brava a nascondermi, a non farmi stanare.

“Possibile che non trovi marito?”, mi ha chiesto mamma l’altro giorno, mentre pranzavamo.

Il tempo delle grandi riunioni familiari è definitivamente tramontato, papà ci ha lasciate. Stavo affettando del formaggio e la lama mi è entrata in un dito. Mi sono stretta nelle spalle e, non so perché, mi sono ricordata di mia nonna china su di me in quella stessa stanza trent’anni prima, mentre spacchettavo il suo regalo, un servizio da caffè di plastica arancione. Almeno lei mi voleva bene veramente. Ho inghiottito in fretta un quadratino di asiago e ho provato un’immediata consolazione. Non ti rispondo, mamma, non ti rispondo, mi sono detta, ho avuto più uomini io di tutte le donne della tua famiglia, cazzo.

Poi lei ha attaccato di nuovo con gli apparecchiuzzi e io le ho detto “Che merde, questi alleati”, pensando che era proprio quello che lei aveva fatto con me, distruggermi mentre mi cresceva, distruggermi fingendo di stare dalla mia parte.

Finito di pranzare, mamma si è appisolata sulla sua poltrona reclinabile mentre sparecchiavo. Ogni volta ne approfitto per buttare via qualcosa, vecchie padelle scorticate, strofinacci logori, lacci, tappi, coltelli dal manico di plastica bruciato. Nei cassetti, ritagli di ricette, un articolo sul potere nutrizionale della verza, la ricetta giapponese per preparare una crema antirughe con riso, latte e miele. Il display del cellulare lampeggiava, mi è arrivato un messaggio: “Solita ora?”.

L’altra sera, all’uscita del cinema, mentre camminavo sotto la pioggia sperando che nessuno si accorgesse delle mie lacrime, ho visto sua moglie. Ha un volto un po’ duro ed è magrissima. Dall’imbarazzo mi sono voltata dall’altra parte, ma la sua risata mi ha costretta a spiarla con la coda dell’occhio. Vista da lontano sembra una ragazzina, col suo jeans scuro, il cappottino a mezza coscia e i tacchi. Ho continuato a camminare pensando alla mia ciccia, al mio grosso sedere che lui, il capo con le camicie firmate, un figlio e la passione per le colleghe grasse, si diverte a toccare.
Non c’è nulla di più reale delle nostre scopate e niente di più invisibile di noi due.

“Ti vedo più magra, fatti guardare” mi ha detto mentre l'altra sera mentre mi rivestivo, tirandomi per un braccio perché mi voltassi “aspetta, non scappare”. Ero davanti a lui col mio seno straripante, rigato da smagliature biancastre, i miei capezzoli grossi, il pube rigonfio sulle cosce abbondanti. Ho iniziato una dieta e sto cercando di rispettarla, voglio vedere se esisto ancora, sotto questi chili di troppo.

Mia madre non ci ha fatto caso ma sabato ho lasciato a metà il mio piatto e sono scappata in cucina per gettare il resto nella spazzatura. Da bambina mi forzava a mangiare, bicchiere di latte bello schiumoso tutti i pomeriggi, pastasciutta a volontà per i muscoli. La grassona di casa, quella che non fa sport, che veste male, che dove vuoi che vada. Che resta qui.

Fatti guardare. Detto da uno che non mi ha mai vista, che in ufficio finge che non ci sia, che mi passa le pratiche da sbrigare come se non mi conoscesse. Ho temuto che volesse qualcosa di più, che avesse iniziato a cercare in me qualcosa che gli ricordasse la moglie. Cosi ho afferrato il maglione e me lo sono infilato alla rovescia, scappando in bagno. Eh, no. Allora lui mi ha seguita, le labbra sigillate in una smorfia e ha detto “Ma dove vai?”.

Lo abbiamo rifatto in piedi, una scena da film, noi due davanti allo specchio. Ho visto la sua faccia per la prima volta, l'ho vista davvero, riflessa nello specchio: la fronte sudata, gli occhi chiusi. Ero terrorizzata dalla sua presa su di me. "Meglio cicciona e invisibile" mi sono detta "meglio che non lo veda piu".


                                                                        ***


Oggi mi ha sono ingozzata davanti alla TV, una grande mangiata senza freni. Ho scoperto mia madre scrutarmi per qualche minuto, prima che sprofondasse nel torpore della demenza. Avevo comprato dei panzarotti alla ricotta che ho messo al centro del tavolo. Poi ho affettato con goduria del pane giallo di saragolla, grosse fette con cui ho ripulito bene il piatto. Alla fine del pasto ho tirato fuori dal frigo un semifreddo di ricotta e canditi. “Tra poco è Natale” ho detto, e per poco non piangevo, ripensando alla sua ira dopo le cene con i parenti, e al fatto che sogno da anni di trascorrere il Natale nel deserto del Gobi.

Quando si è appisolata con la coperta sulle ginocchia ho preso un coltello e ho spalmato su una fetta di pane del cioccolato senza olio di palma. Mentre mi beavo a occhi chiusi del meraviglioso sapore dolciastro, della consistenza del cacao che mi si scioglieva sulla lingua, ho riaperto gli occhi. E' stato in quel momento che ho visto un impercettibile sorriso sul volto di mia madre. Sembrava mi stesse dicendo, anche lei: “Ma dove vai? Tu resti ccà”.


(Questo mio racconto è apparso nell'antologia "Racconti campani", AA.VV, edito dalla Historica Edizioni nel mese di aprile 2020)

Commenti

  1. Per caso ho scoperto questa meraviglia: dovrei essere offesa con te perché non dici mai niente.
    Va bene, ti perdono per questa volta, ma la prossima avvertimi.
    Sto pensando per cercare di dare qualche attributo al racconto: difficile. È come la spuma dello spumante: lieve eppure c'è tutto lo spirito, va in alto in fretta e si legge d'un fiato, ma prende anche direzioni imprevedibili e ti accorgi che è finito su di te.

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