Quella era stata la vita

 


Quella era stata la vita. La rivedeva come da un luogo lontanissimo, sequenza di immagini sfocate che confluivano verso le foci del tempo. Se ne stava accovacciata nel filo di luce che tagliava in due la stanza, gli occhi chiusi. 

A Selçuk, intanto, Giovanni costruiva la sua tomba e la chiamava basilica. Di sera, quando il belare degli armenti diveniva un canto, si sedeva accanto a lei e le accarezzava i capelli. Poi ravvivava il fuoco con le mani ancora  sporche di terra, i capelli incrostati di polvere. "Madre" la chiamava "madre di tutte le madri". Lentamente, scaricava in un angolo della casa sacchi di legumi, cicoria, fichi cotti, tarihler. Riempieva secchi d'acqua dalla cisterna e le rinfrescava la fronte.

"Giovanni, siediti accanto a me" lo pregava. 

Anche lui era stata la vita, assieme dalla Grecia fino all'Asia, predicando e correndo il rischio di morire, pur di far nuove tutte le cose.

"Quando finirai di costruire la tua bazilika?" gli chiedeva. Ma non era una domanda. Pietra su pietra, acqua e sangue: nulla le avrebbe restituito il suo Yeshua. Neppure nei sogni veniva a farle visita. L'aveva abbandonata e gli anni erano passati rompendosi in pezzi. Faticava a ricordare l'esatto colore degli occhi di suo figlio. Avrebbe voluto posare il capo sul suo petto e riposare per sempre, invece continuava a vivere aspettandolo. Com'era, dunque, quel verde pallido che preannunciava dolore? E la luce di quello sguardo che avrebbe stravolto il futuro di tutti i viventi?

 

Era iniziato con un tremare di mura, e pioggia nei campi, improvvisa. Le greggi piangevano impazzite. Era corsa a chiudere la porta. Lui era lì, nella stanza, alto e minaccioso, un lungo abito bianco. "Donna" aveva detto. Donna: ma perchè? Lei era solo una yaloda, una bambina: nessun uomo l'aveva mai toccata, nulla sapeva dell'amore. Solo una volta aveva visto i suoi genitori baciarsi, lingua sulla lingua. "Donna piena di grazia, il Signore è con te". Silenzio nella casa e tra gli alberi. Era rabbrividita quando lui le si era avvicinato. "Ecco, concepirai un figlio e lo darai alla luce". Gocce di sangue denso erano cadute sul pavimento, gocciolando dal suo sesso. Aveva dato un grido senza voce, poi il vento, di nuovo, aveva spalancato la porta: di lontano, gli alberi di fico oscillavano. Sua madre non le aveva creduto. "Metti questi panni e resta sdraiata a letto. Sono cose che capitano a noi donne, molto in fretta saprai cosa significa". Ma l'Angelo, la notte successiva, aveva sfiorato i capelli bianchi di Anna, svegliandola da un sonno confuso, e le aveva detto: "Nascerà un bambino e si chiamerà Yeshua".

 

Durante il giorno, mentre Giovanni lavorava, Ruth andava a trovarla. Era più anziana di lei, e viveva a Selçuk da quando era nata. Si lamentava dei dolori alle ossa e del marito che ormai non poteva più lavorare. Maria non immaginava che si potesse invecchiare così, senza aspettare qualcuno. A lei importava solo di Yeshua. Perché non veniva a trovarla nemmeno nei sogni? Eppure glielo aveva promesso. Neppure il suo corpo, aveva potuto piangere.


Dalla visita dell'Angelo, per tutta la durata del fidanzamento e finché non aveva partorito, aveva sanguinato. Ogni giorno, dal mattino alla sera. Gocce del colore dell'ambra scura. Pure durante le sue nozze, lunghe una settimana intera, il sangue le aveva segnato le gambe, macchiandole gli abiti. Yosef la teneva per mano mentre benedicevano un vino che sembrava sangue anch'esso e scivolava lungo la barba di suo padre Jojakim. Così perfino durante le benedizioni e la lettura del contratto col quale una dodicenne sottometteva la sua vita a un uomo, già anziano e dal volto segnato. "Mai ti farò del male" ripeteva Yosef  adagiandola nel letto, senza osare sfiorarla. Poi un giorno l'aveva spinta contro al muro. Nella voce c'era un bolo di rabbia trattenuta: "Chi è stato, Maria, a farti questo?" aveva chiesto, l'indice puntato contro il suo ventre.

 

Quando Yeshua aveva mosso i primi passi, Maria lo aveva immaginato libero nel mondo, e aveva voluto dimenticare le parole dell'Angelo. Era solo un bambino e la sua pelle profumava di nardo e cannella. Nascondeva tra le pieghe del suo letto nastri di lino profumati. Filtrava la cenere di legna e la faceva bollire, gli rasava i capelli detergendogli il capo con balsamo di mirra. Per tenerlo al caldo, lo vestiva con lana di pecora. Avrebbe camminato lungo i sentieri della Samaria, si sarebbe bagnato nel mare di Galilea, il sale avrebbe asciugato il suo corpo, il sole schiarito i suoi capelli. 

Ma poi.

Il ricordo della sua pelle straziata la riportava alla realtà. 

Cosa avevano fatto a suo figlio? Come avevano potuto essere tanto crudeli? La notte in cui era andato a pregare al Getsemani, nel bosco sul Monte degli Olivi, gli aveva accarezzato la fronte. "Stai con tua madre" lo aveva supplicato "non lasciarmi da sola". Sapeva che sarebbe stata la fine. "Non posso sottrarmi al mio destino" lo aveva sentito mormorare, ma non parlava con lei, era già altrove. Si era sentita tradita. Davanti alla croce, era svenuta. Mani e piedi trafitti dai chiodi e quella lunga ferita slabbrata all'altezza del costato, come un fiore marcito, mentre la sete devastava il Calvario. Non aveva neppure osato sfiorargli i piedi. Era stata capace solo di dire: "Figlio mio, figlio mio, figlio mio". "Madre, raccogli intorno a te i miei discepoli" le aveva risposto, e poi più nulla. Il sangue di Yeshua non era venuto via nemmeno dopo anni: ancora macchiava, indelebile, la veste di Maria. Madre di tutte le madri, la chiamava Giovanni. Che stupido. Non capiva quanto disgusto ci fosse ormai, nel suo cuore di donna. 

 

E poi, una sera, ancora una volta, il vento era entrato nella casa, sollevando la tenda. Solo stelle e silenzio, i campi illuminati dalla luna, le bestie tacevano. Si era svegliata di soprassalto e, nel catino ricolmo d'acqua, il suo volto le era parso, per un attimo, somigliante a quello di suo figlio. Giovanni dormiva, le spalle scosse dal respiro. Di nuovo aveva guardato la sua immagine riflessa ed era trasalita. Chi era la bambina con i capelli annodati in piccole trecce intorno al capo? Aveva guardato meglio: gli occhi erano grandi, lucidi. Con l’indice aveva sfiorato la superficie dell’acqua e, a un tratto, le parso di vedere il viso di una giovane donna nel pieno degli anni, sorridente. 

Finalmente capiva. Da tempo non provava un'emozione simile. 

"Sei tornato" aveva mormorato, accasciandosi a terra "me lo avevi promesso, e sei tornato. Anzi no, non sei mai andato via".

Poi di colpo il vento era cessato.


Nei giorni che vennero fu quella di sempre. Lo sentiva nelle ossa e nelle giunture quanto fosse anziana e senza futuro. Ma, di notte, l’acqua nel bacile le restituiva un’immagine diversa. Il viso riflesso aveva, adesso, la forma degli occhi del suo Yeshua e le labbra di sua madre, anche se non poteva esserne sicura; talvolta aveva la fronte di Yosef, o la stessa forma delle orecchie di suo padre. Ripeteva ogni notte quegli incontri segreti, ed era felice. Non lo disse a nessuno, neppure a Ruth, lasciando che continuasse a lamentarsi dei pochi soldi che arrivavano a casa e del fatto che fosse costretta a chiedere l’elemosina. Non le importava più.


Quella era stata la vita. 

E continuava a muoversi dentro di lei, sotto la sua pelle, tornando indietro in cerchi concentrici e proiettandosi verso un futuro che appariva e scompariva, perché il tempo non esisteva. Suo figlio non era morto, e nemmeno Yosef, e così tutte le persone che aveva amato, unite in un disegno che presto le sarebbe stato svelato, eterno.


Tullia Bartolini

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