Antonio La Sala - nota di lettura del suo "Matto", Affiori Edizioni
“Fare domanda alla Fortuna, mischiare sette volte le carte, spaccare il mazzo. Due donne. Due tre. Di bastoni, di spade. Chiedere: «Perché il tempo non passa?». Eppure – senza risposta – sentire ogni cosa cambiare. Vuoi un segno dello scorrere? Respirare".
La poesia come sutura, forse come riparazione, tra presente e memoria: poesia che - ci dice Antonio La Sala, classe 1988 - non è mai garanzia di felicità. E ne scrive, ricorrendo a ottime scelte lessicali, nel suo "Matto", edito dalla Affiori di Giulio Perrone, utilizzando uno stile elegante e sofferto, meritevole di una continua rilettura.
Piuttosto, la poesia, è materiale da smuovere dal fondo dei cassetti, in un dialogo ininterrotto con sé stessi. L'autore lo sa e procede attraverso "domande fatte alle carte, oracolo raccolto in coppie uguali", alla ricerca continua di una via che lo porti il più possibile a somigliare alle parole che usa: "Scegli (...) per cosa consumare la tua cera. Scegli e accendi la fiamma. Cambia il clima. Crea correnti. Poi soffia”. Ancora: “Brucia il copione. Ringrazia. Resuscita con la tua storia. Alleati con la Morte. Diventa Persona”. Forse così, dal fondo del bosco, la vita si svelerà per la prima volta e smetterà di canzonarci.
Certo, lasciare la strada consueta ha le sue insidie e, in questo senso, il "Matto" non offre alcuna certezza. Anzi, il giocatore rischia di essere ingannato dalle sue stesse carte, figure illusorie che pone sul tavolo nel tentativo di comprendere. Poco importa. La Sala ci dice che colui che cerca la propria essenza deve lasciar fare alle cose, percorrendo strade poco battute. Soprattutto, deve saper cancellare ogni finzione.
Nei versi di La Sala c'è l'amore, certo, o quel che ne resta ("Facciamo, allora, un gioco, giochiamo insieme, io non scappo e tu vienimi a cercare" e, ancora, “Ti aspetto e ti cerco in luci intermittenti e in stanze senza finestre, in non attese folate di vento che mi sputa in faccia il freddo da una porta semiaperta)”. C'è il carapace "rosso di ossido di ferro e verde, di alghe selvagge": qualcosa che protegga. E c'è l'ansia del mare, dell'acqua che prende spazio, come di un ritorno ineludibile: "Se mi chiedi cosa spero, sta nell'acqua".
La Sala, ricercatore universitario presso La Sapienza di Roma, è un autore da attenzionare, del quale, sono certa, sentiremo ancora molto parlare.
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