Due donne [inedito]
"Aspetta".
La rincorre per le scale, il braccio teso.
Nella mano stringe qualcosa. “Hai dimenticato questi sul comodino”. Poi
le dà un bacio sulla fronte.
Due cerchi dorati. I suoi orecchini. Un bolo di pianto le sale in gola.
Al risveglio le ha fatto una spremuta d’arancia – “Sei pallida”, ha
detto. Premuroso.
È stato chiaro sin dall’inizio, gli secca parlarne. Per ora non può fare
altro: “Sei importante” è sottinteso.
Sa delle abitudini dell’altra, del modo in cui si muove, impettita come
un soldatino. Conosce la sua età. È una donna poco curata, la ricrescita
di capelli bianchi sulle tempie.
“Ma non ti manca l’aria?” ha chiesto Franca mentre pranzavano assieme. La guardava preoccupata: "Non sei stanca che Carlo imponga le sue regole, quando vedervi, come?”.
Sì, è stanca. Ma non si può fare altrimenti. Laura c'è da prima di
lei.
Laura.
Lascia nel bidet peli biondi e ricci, oppure dimentica le linguette
degli assorbenti nel lavandino. È disordinata: collant, appunti persi in
salotto. Comprare pane, due etti di prosciutto, sale. Marca il
territorio, anche se non vive da Carlo in modo stabile. Ha trovato le
foto: lui in calzoni corti, cappello in testa, le cinge le spalle.
Ovunque ci sono tracce. In cucina i resti della torta comprata per
festeggiare qualcosa, bottiglie vuote, bicchieri.
Per un certo periodo di tempo, prima che fosse assunto in un negozio del
quale ha rilevato le quote, Laura lo ha accompagnato anche da uno
psicologo, pagando gli onorari.
“Capisci? Mi ha salvato la vita” dice.
Quando l'altra va a trovare sua madre, a sessanta chilometri di
distanza, possono dormire assieme. Cenano qualcosa e poi finiscono a
letto. Dopo l'amore cadono nel sonno a peso morto, abbracciati. Si
stringe al suo corpo a cucchiaio, gli bacia la nuca di amatore di donne.
Appena fatto giorno, un caffè veloce e le scale di corsa. Tramestio che
arriva dagli appartamenti, rumori dalla strada, auto che si mettono in
moto. "Non è ancora il momento” dice lui,
accompagnando le parole con un gesto, a voler rallentare “le voglio
bene, ma la nostra storia si è trasformata".
Di notte Maria sogna oggetti che cambiano di posto in case che non sono
la sua, impronte di polvere sui mobili, cerchi di bicchieri. Vede
Laura arrivare, avvicinarsi, spettinata, piangente. Poi di colpo si
sveglia.
“Non posso lasciarla, non adesso” dice Carlo. Non vuole causare dolore,
bisogna capirlo. Una spinta e l’intera impalcatura cadrebbe giù; però
piano, mica si può fare del male così a una persona. “Non dopo tutto
quello che ha fatto per me. Non ancora”. Bisogna procedere per gradi,
creare le circostanze, essere prudenti. Laura si è trasferita a Roma da
Cagliari solo per stargli accanto, ha cercato una casa poco distante
perché lui non era pronto per una convivenza. Gli ha messo in ordine la
vita quando era in difficoltà economiche, salvato dalla depressione,
dato un equilibrio.
Per quella gratitudine forse le fa l’amore.
Capelli biondi sul cuscino, un alone bianco sulle lenzuola. Una
volta, una piccola macchia di sangue.
La vita concreta dei corpi che non hanno bisogno di nascondersi.
Potrebbe chiamarla, dirle: ciao, ascolta, sono Maria. Tu non mi
conosci, e come potresti? Frequento Carlo da almeno due anni. Sono una
disagiata, me lo dico da sola, altrimenti non rimarrei con lui. Si
organizza, è bravo: sta con me quando tu non ci sei, il sabato mattina, mentre stai lavorando, prima che venga a
prenderti. Spesso sale a casa mia, più spesso vuole che sia io ad andare da
lui. Non chiedo nulla, gli faccio comodo. Non mi sono sposata e non ho
figli, non sono stata capace di costruire nulla. Questa sono io, e amo
il tuo uomo.
“Certo rischi a incontrarmi qui”.
“Ma questa è casa mia”.
“Beh, potrebbe bussare alla porta da un momento all’altro”.
“Vorrà dire che la cosa si risolverà più rapidamente”.
Le accarezza l’inguine, mentre parla.
“E comunque non passo lì dove abita con te a braccetto”.
“No”.
“Non c’è nessun pericolo”.
Un pomeriggio, mentre si sta specchiando nella vetrina di un negozio, la
vede: è dietro di lei, magra e dritta come un fuso. Il respiro le
diventa affannoso. In strada ci sono pochi passanti, un ragazzo in
monopattino le passa accanto.
Per qualche secondo i loro sguardi si incrociano, Maria accelera il
passo, l’altra allunga un braccio per fermarla.
“Ciao” dice.
La sua voce è calda, profonda. Bizzarre radici sembrano sollevare il
marciapiedi sotto ai suoi piedi.
“So chi sei, tranquilla. Posso offrirti qualcosa al bar?”. Non è una
domanda.
Laura resta in silenzio, si mette obbediente al suo fianco. Raggiungono
un locale. È quasi sera, gli alberi sono sagome nere sotto le luci dei
lampioni.
E ora, pensa. Sente il cuore balzarle in petto, vi poggia sopra
una mano, in un gesto infantile.
Entrano e ordinano dei caffè, la cortesia untuosa di chi sonda il terreno.
“So di voi due” prorompe l’altra, neppure il tempo di mettersi sedute.
Ha un viso piatto, incolore. Eppure, quegli occhi di fuoco. "Non provare
a negare".
Silenzio.
"Conosco Carlo, ti ha detto da quanto tempo stiamo assieme? Credi
davvero di essere la prima?”.
Ancora silenzio. Prendono posto sulle sedie in plexiglas. C'è una strana
atmosfera tranquilla, forse prelude allo scontro, forse no. Non
succederà nulla.
“Immaginavo che avesse una storia, ogni tanto ha bisogno di sentirsi
libero, di mettersi alla prova. E' adorabile, no? Difficile resistergli.
Ma è con me che resta, sono la sola a dare senso alla sua vita".
Nel locale fanno il loro ingresso due ragazzi, mano nella mano, lo
sguardo insidioso. Intanto, il cameriere ha portato i caffè.
“D'altronde mi sembri in perfetta forma”.
Maria sgrana gli occhi. Non capisce.
"Ma...".
"È inutile che neghi".
“Non so di che parli” fa per alzarsi.
“Mica puoi andartene così”. Ha una voce imperiosa, sta dritta sulla sedia, rimescola lo zucchero
nella tazza.
“Questa storia della malattia” riprende.
“Continuo a non capire”.
“Mi ha riferito che stai male".
"Ti ha detto così?".
"Già, e che non può mollarti proprio adesso".
"... ti ha detto che ho un problema di salute?”.
“Sì... una delle tante balle che gli racconti. Ne sono certa. Per
ricattarlo, perché non ti lasci, per impietosirlo. E poi c’è una cosa"
fa una pausa "visto che lui non te lo dice, lo faccio io".
Maria ha un tuffo al cuore, abbassa gli occhi.
"Aspettiamo un bambino".
Ripensa alla telefonata di Carlo, all’appuntamento che si sono dati per
quella sera, all'ultima volta che hanno fatto l'amore.
Si alza. L’altra la tira per la manica della camicia, Maria si scuote
con violenza e il cucchiaino cade sul tavolo, un po' di caffè schizza
addosso a Laura.
“Lasciami”.
"Tu non ti muovi di qui".
"Io vado dove mi pare. E lasciami". La guarda fisso negli occhi mentre
trema:"Gli dai un figlio, e continui a fargli da madre".
Improvviso, il ricordo dell’odore della pelle di Carlo. È lì, mentre
infila l'uscita e si dirige verso il fondo del viale e trascina i piedi
e le lacrime le offuscano gli occhi.
La notte è calata, fredda e silenziosa. Solo il rombo di un motorino
sfuma in lontananza.
Rumore di passi alle sue spalle, si volta.
Dietro di lei c'è Laura, sguardo trionfante e testa eretta. Sembra
un erinni, gli occhi come tizzoni, i capelli-serpenti.
Fa paura.
“
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