"Fuga a perdere", due domande all'autrice, Tiziana Tafani


Erano gli anni novanta e si stava, giovani ed ingenui, nella Roma di Craxi-Forlani-Andreotti.
Io, anima vagula blandula, mi aggiravo per i corridoi della LUISS e lei era con me, tra i banchi: già così donna, dirompente e diretta.
"Lei" è Tiziana Tafani, mia compagna di corso all' Università, nata a Viterbo ma cresciuta ad Orvieto, scrittrice per vocazione e per scelta.
Nel tempo non ci siamo perse, complici i social e, soprattutto, una certa affinità. Ci siamo riviste alle varie rimpatriate universitarie e raccontate un po' di vita.
Ora lei ha dato alle stampe il suo terzo lavoro, dopo "And we can be heroes" (L'Erudita 2016) e "Freud e Orvieto" (Intermedia 2017).
Le ho rivolto qualche domanda, incuriosita dalla sua vocazione letteraria che si fa sempre più sicura ed intensa.
Io - "Tiziana, ti ho conosciuto sui banchi dell'università. Già allora amavi leggere, scrivere. Da dove nasce, secondo te, l'urgenza della scrittura?"
Tiziana - "Quando ci siamo conosciute io vivevo un momento creativo e, al tempo stesso, drammatico: era capitato tutto insieme. Avevo lasciato la mia città, iniziavo un corso universitario che mi lasciava indifferente, ma che mi avrebbe garantito una certa qual sicura indipendenza, mi ero innamorata di un uomo che viveva in un’altra città: metti tutto insieme, l’unica scappatoia per non impazzire era scrivere".
Io - "Scrivi di getto per poi eliminare il superfluo, oppure segui una scaletta?"
T - "Scrivo di getto ma con una tessitura ideale in cui posso incastrare i pezzi, proprio come ho fatto nell’ultimo libro, nel quale ho scelto la metrica del calendario".
Io - "Fuga a perdere", l'ultima tua pubblicazione per i tipi de 'L'Erudita', di Giulio Perrone Editore: un titolo intrigante. Ma cosa vuole dire, per te, essere in fuga?"
T - "Essere in fuga è, anzitutto, la mia metrica naturale, quella che  mi porta al continuo superamento di ciò che ho fatto. Ma, nella fuga, c’è l’accettazione di un abbandono,  la necessità di un allontanamento, c’è sempre un voler decidere, anche se, come dico nel titolo, non ci si guadagna nulla. Però ci si recupera, ci si salva".
Io - "Scrittura femminile. Esiste una letteratura di genere, secondo te?"
T - "Ritengo decisamente di no. Anche nella letteratura, purtroppo, le donne hanno dovuto recuperare il tempo dell’ignoranza a cui le antiche culture le hanno sistematicamente sottoposte".
Io - "In quest'ultimo romanzo parli di esperienze in chiave femminile. Solo una donna può davvero parlare di altre donne, a tuo avviso, oppure no?
T - "Assolutamente no. Nel mio libro sugli eroi ho parlato solo di uomini. Con una eccezione: credo che soltanto una madre possa realmente parlare di maternità".
Io - "Quali sono i tuoi autori preferiti e chi ti ha davvero ispirato, tanto da spingerti a scrivere?"
T - "Tullia, io, sopra al letto, al posto di un’icona cristiana, ho il ritratto di Leopardi. Li amo immensamente tutti e sono una lettrice bulimica".
Io - "Quanto serve la letteratura, oggi? E perché?"
T - "La cultura è tutto. E’ civiltà, governo, espressione: un popolo senza letteratura e senza arte è destinato al declino. Ci sono scrittori in questa fase, penso a Carrére, a Houellebecq, che stanno portando avanti una forma di letteratura eccentrica ma piena di approcci nuovi. Io comincerei da loro".

Una bella immagine di Tiziana












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