"Il giovane favoloso", di Mario Martone

Per tutta la durata del film vaghiamo inquieti da Recanati fino a Napoli, nel buio dei vicoli, tra i lazzari: con noi,  un 'ragazzo favoloso', accompagnato da Antonio Ranieri, suo alter ego, spalla, sostegno, sempre affianco.

Poi, alla fine del film, siamo sotto le pendici del Vesuvio, quando a Leopardi è chiara la visione di se stesso - e di noi tutti - così minimi e perduti: piante di ginestra, che lottano, s'arrampicano, esplodono al sole.
Un bel film, con qualche ombra e forse non all'altezza di 'Morte di un matematico napoletano', ma l'imperfezione lo rende ancora più struggente. Ricordo alcune frasi di Citati, a proposito di Leopardi, nella biografia che gli dedicò anni fa e che trovai complicata e ostica da leggere, per addetti ai lavori. Ma la descrizione del poeta, fatta da Citati, era da brividi. Quel suo esser capace di far sentire gli altri 'importanti', riflesso della sua grandezza solamente: gentile anche di fronte alle meschinità più grevi, come se non avesse dubbi che tutti conoscessero le medesime cose sue. Quelle stesse che erano state, per lui, fondamento, ricerca 'matta e disperatissima'.




A tredici anni aveva letto tutti i libri delle biblioteca paterna; piegato sempre più nel fisico, quasi cieco, già dilaniato dalla tubercolosi ossea, la malattia che lo consegnerà alla morte a quasi trentanove anni.

Elio Germano è un Leopardi credibile, soprattutto negli anni della gioventù; che sono, poi, nel film di Martone, quelli più commoventi. Vestito di scuro, chino sui testi, prigioniero della casa di Recanati, troppo inquieto per resistere in pace tra quattro mura, pago dei suoi studi.




Eccolo dunque tra i campi a ridosso del paese, seguito dal precettore gesuita: nell'erba dei prati, alla ricerca disperata di una risposta, quando tutto - e questo i libri glielo avevano mostrato chiaramente - 'tutto' non aveva senso.

La raffigurazione di quel Leopardi - nell'ombra e alla ricerca della luce - è la meglio riuscita del film, e ci ripensi anche andando via, avvolto nella musica in cui scorrono i titoli di coda.

Lo stesso Leopardi che dice a sua sorella Paolina, disperato: solo chi dubita vede. Solo chi non giudica può conoscere il vero. Non c'è nessuna certezza, per chi cerca - a dispetto di ogni cosa - un senso.


Per chi volesse approfondire, ho trovato molto bello questo pezzo, a proposito della disabilità del Leopardi:

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