Gabriella Maleti
Non riesco ad
immaginare dove fu
se non in un
campo impreciso di contadini,
a
settembre,
come soluzione e
principio.
Noi siamo chi
rimane, oggi, e osserva.
Dopo aver
passato maniche, budelli, interstizi, sepolture,
siamo appassiti
cuscini da riposo,
sonnolente
cariche,
logori
ricercatori di quando e come, e dove avvenne,
ed immaginare i
superflui respiri del concepimento:
tutto sommato
balle,
mentre pensavano
“loro”, per brevi momenti,
d’essere
padroni lì del
tutto,
ed era il niente
ripetuto,
riammesso alla
luce, alla vita,
poiché vita
nasce anche senza volontà di vita.
Immagino “loro”
menti valide e invalide,
dalla
strampalata cresta di gallo che
ubiqua
galleggiava al di qua e al di là del precipizio,
mentre era così
facile seguire il senso dell’elementare atto,
che a loro
insaputa portò ad un concepimento.
Ora, da grande,
sono finalmente un lustrascarpe,
un tignoso
apparecchio elettrico,
il sembiante di
un portavoce che tira la carretta,
s’inchioda a
leggere croci
e senza sapere
fissa il cielo per conoscere il punto,
e perché, e fino
a quando e come,
lo stratagemma
del seguire vita e domanda
mi porterà là,
nel medesimo luogo d’inizio,
che sarà punto
dello stesso punto,
fine
medesima.

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