Così Tolstoj fugge

 

Così Tolstoj fugge e la sua fuga, all'inizio, è solo il moto disordinato di chi non ha più nulla da perdere; ha paura dei treni, lo spaventano, ma non c'è altra scelta. 

Col suo medico personale e la figlia Sasă, esce di casa e controlla, nel freddo di ottobre che avvolge la tenuta di Jasnaja Poljana, che la carrozza sia pronta.
Hanno preparato i bagagli in fretta e in silenzio, perché lei - la pazza - non si accorgesse della fuga. Non è più questione di anni. E' l'idea, ferma, di voler vivere i giorni che restano, le ore più prossime, nel modo che desidera. Lontano dal matrimonio; dalle gelosie, dagli editori, dai lasciti testamentari, dai diritti d'autore. Lo ha scritto: la sua letteratura appartiene all'umanità intera.
Ha disgusto di sé, ormai, orrore di ciò che è stato: delle contadine prese nelle isbe, in fretta e di nascosto; del suo corpo. Disgusto per ciò che da tempo percepisce del mondo: si ripete, mentre sale sulla carrozza, che l'importante è non peccare più.  Ha ottantadue anni.

Lungo il viaggio lo assale il pensiero di Dio. Detta qualcosa a sua figlia. "Dio è il tutto senza limiti, di cui l'uomo ha coscienza d'essere una parte limitata. Solo Dio esiste veramente".
Non sa ancora che, quando si è accorta della sua fuga, Sof'ja si è gettata nello stagno e che l'hanno ripescata a fatica; non sa che ha sguinzagliato i figli perché lo cerchino e lo riportino al suo ventre di donna gelosa. 
Rivede i luoghi della sua giovinezza, mentre la carrozza - e poi il treno - lo portano sempre più lontano, verso sud, verso il Don. I polmoni gli bruciano, ha freddo, lo coprono con un altro cappotto, lo riscaldano con del the bollente.
La mente vacilla: gli importa solo di scappare. Ascolta lo sferragliare del treno sulle rotaie. Ha i brividi. Gocce di gelo sui vetri del finestrino, le guarda senza vederle.
Soffre l'idea di morire, la ricaccia ma la sente perfetta. Quando lo ricoverano nella stazione di Astàpovo, chiede che Sof'ja non metta piede nella stanza. Non vuole vederla mai più.
Non gli importa di lei, delle terre, di Jasnaja Poljana. Del denaro, del sesso che esplode nel grano, stille di sperma sui papaveri, delle mille pulsioni della sua giovinezza - dei cavalli, dell'erba, del vento, delle giornate di sole. Nulla è più perfetto di Dio. E Dio è il silenzio di adesso, così fecondo, pieno ma vuoto al tempo stesso.
Ecco dunque il viaggio senza fine, la 'corsa libera nel mondo'. Ne scrive finché, con le mani che gli tremano, gli è possibile.
Vive ciò che soffrono i moribondi, nella certezza - adesso lo sa veramente - di essere parte limitata di un tutto.

Fuori dalla finestra il mondo si agita, scalpita, lo sente muoversi. E' lì. 

Ancora un poco: poi solo pulviscolo e luce.

(Dopo la commovente lettura di "La fuga di Tolstoj", di Alberto Cavallari - Skira Edizioni).

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