Carpe diem

Fa un certo effetto attraversare le Murge fino al confine con la Basilicata, passando per chilometri di strade solitarie che appaiono, nel bagliore assolato, confinanti con terreni riarsi, la cui continuità è spezzata solo dagli scheletri delle case e dei magazzini, delle chiese abbandonate, dei contorni di masserie che il sole e il vento hanno scarnificato.
Lucania dimenticata e autentica, visitata sempre di sfuggita, mai conosciuta per davvero: Melfi, da dove Federico II promulgò le sue leggi, Venosa e l’Incompiuta, dove riposano le ossa di Roberto il Guiscardo.


(A Potenza i miei genitori vissero per qualche anno, il tempo di dare alla luce la loro prima figlia, mia sorella. A casa di mia madre si conservano foto di Antonella bambina in un passeggino, sullo sfondo di palazzi in costruzione, nei nuovi quartieri che fiorivano dal nulla, speranza delle generazioni sfuggite alla guerra, che non vedevano l’ora di ricominciare. Eppure qualcosa, nella ripresa della Basilicata, non ha funzionato. Mia madre volle abbandonare il freddo e la desolazione di quella città e di quella terra: i capelli le erano diventati d’un tratto radi. In una foto, davanti a un finestrone, mio padre è proteso su Antonella. Stanze assolate, pose per l’occasione, ma lui sembra felice).


Potenza


Mentre attraversiamo le strade provinciali e lasciamo una Venosa semideserta, in cerca di un posto dove mangiare, arriviamo - a margine di capannoni dismessi e decrepiti - in un agriturismo ancora in fase di ampliamento. Il proprietario, scopriremo poi, si chiama Mauro, ha poco più di settant’anni e la sua struttura ha un nome evocativo: "Carpe diem" (http://www.agriturismocarpediem.com/
Mauro s’appoggia a un bastone perché è reduce da un incidente automobilistico (ma: “sono in netta ripresa”, dice). Ha uno sguardo diretto, d’un azzurro opaco. Mangiamo bene (a un prezzo davvero modico), ma ciò che resta è l’incontro con lui, col Sig.Mauro, che si definisce “un poeta, come tutti i contadini”, e un "federiciano".
Chiara e il Sig.Mauro


Chiede a Chiara di leggere il suo ‘manifesto’, una lunga dichiarazione d’amore dedicata alla sua terra (dove ha deciso di rimanere, fondando uno dei primi agriturismi della Basilicata) e al vivere intensamente la vita. Si commuove anche, afferma di credere nel cambiamento e ci racconta com’è nata la sua fattoria didattica. Ci parla pure di politica, senza risparmiarci l’ironia.
E’ un patriarca, il capostipite di una trasformazione, è il progetto che si fa concretezza. E' passato, presente e futuro messi assieme. In questo agriturismo, che è una vera e propria oasi nel deserto, non si respira un’aria esclusiva o elegante quanto, piuttosto, una sincera armonia. Tutti collaborano con tutti: zie, nipoti, figli. Questa armonia risponde, credo, a quella che Mauro chiama “la continuità del tutto”. L’innovazione che rifà il passato, la tenacia che preme a dispetto del presente, la progettualità e il ciclo delle cose che – dunque - non finiscono, ma solo ricominciano.

Non è un caso, mi dico, che qui si viva su una linea di demarcazione e che questa struttura sorga in una contrada che ha il nome di un vento, la bora. Il vento passa ma non passa. Scava, e lascia solchi e tracce da cui ricominciare.
E’ bello deviare, uscire fuori programma, dunque. Abbiamo fatto bene a cambiare strada, a non prenotare, ad affidarci al caso. Soprattutto, ad ascoltare Mauro e il racconto della sua vita.
Non c’è altro modo per incontrare il nuovo.
E per non invecchiare.

(Grazie ai miei compagni di viaggio Roberto Cupellari, Chiara Vesce, Antonella Rosa e Manuela De Noia).

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