Vanna Corvese sul mio 'Amata nobis'
"Amata nobis" è l'avvincente ricostruzione della storia di una donna realmente esistita, accusata di stregoneria e processata dal tribunale dell’Inquisizione nella Sabina nel secolo XVI. Il nucleo del romanzo è la vicenda reale che si svolse nel 1528 nella Rocca di Fiano; ma nella narrazione, sapientemente strutturata, accanto a personaggi che a quell’epoca fecero parte della vita della ‘strea’ e furono presenti al processo, ci sono figure e fatti immaginari, che tuttavia rispecchiano la società dell’epoca con le idee, i pregiudizi e i meccanismi che la caratterizzarono.
Questo non è, dunque, un romanzo storico, ma una rivisitazione degli eventi
e della figura di Bellezza Orsini, amata ed esecrata come tante altre donne
libere e in possesso di saperi. L’autrice immagina che la ricostruzione degli avvenimenti
nasca dai ricordi di quello che fu il presidente dell’Inquisizione, Marco
Calisto da Todi. Quest’uomo, giunto all’estrema vecchiezza dopo una lunga esperienza delle
passioni e dei vizi umani, di fronte al mistero della morte ripensa ai
fatti e alle testimonianze che inchiodarono Bellezza Orsini. È significativa la
riflessione attribuita al prelato sulle contraddizioni della natura umana,
quando si riferisce ai riti di stregoneria di cui molti parlano: “Ora so che
quei demoni spaventosi sono anche i nostri e che, alla fine, ci somigliano”.
Emerge dall’indagine il pregiudizio sulle donne, considerate generalmente un
malanno naturale. Soprattutto è esplicita la condanna morale di quelle che vivevano
liberamente e avevano appreso ciò di cui si occupano solo gli uomini, perché la
conoscenza scientifica e la medicina costituivano un potere esclusivamente
maschile. Si susseguono tanti
capitoli quanti sono i personaggi coinvolti nei fatti che ruotano intorno alla
protagonista e così, gradualmente, si costruisce un profilo molto articolato della
‘strega’ che era, in realtà, un’esperta di erbe e di medicamenti, una guaritrice
provata da esperienze dolorose.
Sapeva leggere, in un’epoca in cui le donne del popolo non avevano accesso
alla scrittura e alla scienza, e anche per questo prima delle accuse formali fu
oggetto di sospetti e maldicenze. Gli uomini di chiesa osservavano «che
una donna che non si comunichi e viva come un uomo non va bene». Tra i testimoni, un uomo brutto e astioso, Battista
di Filacciano, giurò di aver assistito cose gravi e terribili, ma
in realtà riportava affermazioni di altri, rivelando che
persone autorevoli avevano detto che l’indagata raggiungeva una città lontana
per copulare col demonio.
Nel romanzo la presunta strega è una donna innamorata. L’amore per Camillo, rampollo della nobile famiglia Orsini (il cognome di Bellezza era solo un omonimo) è la goccia che fa traboccare il vaso: forse per questo viene trascinata al processo (…). Bellezza si diede la morte prima di essere sottoposta ad altre torture e al rogo. Il racconto di Tullia Bartolini invece ha un finale a sorpresa, con azioni a cui non è estraneo Padre Tommaso, il personaggio inventato, che tuttavia incarna la segreta passione e l’inquietudine di un religioso di quel secolo. Al termine della lettura sento il desiderio di rileggere alcune pagine che trovo emozionanti, per la capacità dell’autrice di far rivivere un personaggio e la sua incompresa grandezza.
Vanna Corvese
v.corvese@aperia.it
A sinistra, Vanna Corvese |
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