Premio Impresa donna, edizione 2012: il mio intervento sulle donne-streghe - in memoria di Pasquale Massaro.

Invitata da Pasquale Massaro, partecipai con piacere all'incontro organizzato dalla CNA di Benevento in onore delle donne imprenditrici. Ho un bel ricordo di quella serata e di Pasquale, amico generoso e per bene. Qui di seguito, il mio intervento sulle 'streghe', donne che, per prime, hanno sperimentato l'arte dell'auto-determinarsi e del procurarsi di che vivere con le proprie 'competenze'.
“Essere imprenditrici di se stesse, rifare l’esistente. Di questo vorrei parlare a donne come voi, esempio concreto – e attuale – di ciò che si può fare. Questa di autodeterminarsi è una qualità che, anche in condizioni avverse, le donne hanno sempre saputo manifestare, nella loro vita. Ho scritto un testo, anni fa, dedicato a Bellezza Orsini.
Era una serva (faceva, come dice lei stessa nel corso della sua deposizione, la cucina per Madonna Jacoba Orsini) e sapeva leggere e scrivere. Cosa davvero inusuale, per i tempi. Prova ne é che poté redigere, aiutata dal figlio, nel corso del processo, un autodafé, un’autodifesa. Nella quale, più che discolparsi, si mostrò fiera ed orgogliosa del ‘mestiere’ che aveva appreso: quello di curare, appunto, con le erbe, e di legare le ossa rotte. E, ancora, di far nascere bambini, oltre che di guarire ‘ogni infirmità’. Questa fierezza rappresentò, naturalmente, un inciampo: apparve chiaro, ai giudici, che la donna non solo era un’herbaria, ossia una strega, ma che non era affatto pentita di aver esercitato il mestiere in cambio di denaro e companatico. La stessa fierezza, dopotutto, che la porterà alla morte per sfuggire alle torture. Aveva tentato un riscatto, imparato una professione che era quella di medichessa – ed era una delle più potenti della Sabina – e di levatrice. La sua storia – dovette pensare – si concludeva lì, doveva esser lei a decidere come. Si uccise, infatti, trafiggendosi la gola con un chiodo. Prima di lei, dopo di lei, molte altre donne hanno sperimentato se stesse in campo medico. Mettevano in pratica un lascito che si tramandava di donna in donna: la stessa Bellezza dovette molto alla sua madrina, Lucia da Ponzano, che le insegnò quasi tutto e che le disse, infine: ‘“Tua è la scelta. A volte agirai per il bene, altre per il male, sempre opererai per l’umanità”. La storia femminile è piena di esempi di riscatti e sconfitte nel settore della medicina, che è poi quello della cura degli altri.

Le donne sono accuditive per natura, si sono spesso sperimentate come guaritrici e sono state, in questo campo, come dicevo all’inizio, vere e proprie imprenditrici di se stesse. Ma chi erano quelle che sfidavano il mos maiourum e che, senza dipendere da un uomo, si guadagnavano da vivere? Una risposta alla domanda “chi erano le streghe?” ce la fornisce Michelet: “Per mille anni, l’unico medico del popolo fu la strega. Gl’imperatori, i re, i papi, i più ricchi baroni, avevano alcuni dottori di Salerno, mori, ebrei, ma la massa di ogni stato, e si può dire il mondo, non domandava parere che alla Saga, o Donna saggia. Se non riusciva a guarirli, la ingiuriavano, le davano della strega. Ma in generale, per una reverenza mista di timore, la chiamavano Buona donna o bella donna, con lo stesso nome che si dava alle fate. Accadde a lei quel che accade ancora alla sua pianta favorita, la Belladonna, ed ad altri veleni salutari ch’ella usava, e che furono l’antidoto dei tremendi flagelli del Medioevo. Il fanciullo, il passeggero ignorante maledice quei fiori tetri prima di conoscerli. Lo spaventano con i loro ambigui colori. Egli indietreggia, s’allontana. Eppure sono le Consolanti, le quali somministrate con discrezione, hanno sovente guarito, sopito tanti mali. Voi li trovate ne’ luoghi più sinistri, isolati, malfamati, presso le casupole, tra le macerie. E anche in ciò somigliano a colei che ne faceva uso”.
La letteratura è piena di questi stereotipi, come saprete benissimo. Donne a cui non è mai stata resa giustizia. La questione mi ha sempre appassionata e, perciò, mi sono voluta occupare di streghe. Queste storie ‘al femminile’ andrebbero tutte rivisitate, riscritte, perché sia consentito alle loro protagoniste un riscatto e perché certe vicende vengano finalmente valorizzate. La letteratura potrà riconsegnare quei volti di donna a una storia, che è quella dell’imprenditoria femminile e non solo.

Un’altra famosa medichessa fu Lucrezia Geminiani, toscana. Venne processata su denuncia anonima: quando fu portata alle carceri tutto il popolo, stando alle sue deposizioni, l’aveva accusata chiamandola “strologa”. Era una tipa in gamba, invece, capace di fare da balia ai bambini e molto considerata anche a Valmaggiore e a Firenze. Nella sua deposizione Lucrezia fece riferimento, con orgoglio, alla pluriennale attività di balia di figli di donne abbienti, nonché di ostetrica. Tra il 1400 e il 1500, infatti, era pratica comune, tra i notabili, quella di affidare l’allattamento dei bambini alle balie, poiché si riteneva che la madre non potesse avere rapporti sessuali per diciannove mesi per non “guastare” il latte: questa astinenza, ovviamente, non permetteva alle coppie di avviare nuove, necessarie gravidanze. Lucrezia, dunque, aveva allattato ed allevato molti bambini fino a divenire non più solo balia e levatrice ma anche guaritrice, cosa che attirerà su di lei notevoli sospetti. Non era un medico e, in più, era una donna: inconcepibile che arrogasse a sé delle qualità e delle conoscenze che non le spettavano. Giunse così dinanzi all’Inquisizione morì a causa delle fratture riportate durante le torture. Ma non era, questo mestiere di curare le infermità e di far nascere bambini, solo prerogativa delle contadine e delle popolane. Altre, nobili, che sapevano leggere e scrivere, seppero curare molti malanni, anche gravi, di carattere medico, estetico, sessuale. Diverse herbarie ritenevano, giustamente, che ci fosse uno stretto collegamento tra corpo e anima, corpo e psiche. Ma perché, viene da chiedersi, il mestiere delle levatrici era destinato prettamente alle donne? Era un lavoro a tutti gli effetti, gravoso di responsabilità e remunerato. Ovviamente, non era considerato un vero lavoro, né a livello istituzionale, né ufficiale. Non esistevano albi a cui le mestieranti potevano iscriversi. Anzi, queste erano guardate con disprezzo e considerate scarti della società. Perché? Perché il cristianesimo, fin oltre il Medioevo, considerò immorale questo lavoro, in quanto collegato al corpo della donna che era definito ‘impuro’. Così, fu vietato categoricamente agli uomini di assistere ai parti. Bisogna comunque ricordare che, all’epoca, c’era un’assoluta indifferenza per i rischi frequentissimi di morte che le donne correvano a causa delle ripetute maternità: i mariti usavano le mogli come meglio credevano e la loro morte era un evento meno grave di altri. La perdita di una vacca o del raccolto era considerato una sciagura ben più importante. L'inizio della trasformazione dell'ostetricia in professione maschile viene fatta solitamente risalire all'assistenza data da un medico di corte alla favorita di Luigi XIV, nel 1633: da allora, la moda di ricorrere al medico si diffuse tra l'aristocrazia francese per poi varcare i confini della Francia e diffondersi anche altrove. Ma già dal 1500, in alcune zone d’Europa, i medici avevano ottenuto per disposizione di legge l’incarico di assistere le partorienti. Iniziò a diffondersi, allora, la febbre puerperale che fece morire per tre secoli – ed è storia recente - centinaia di donne, ricche e povere che fossero, di setticemia causata da uno streptococco. Ancora nell’800 c'è chi, come il professor Klein, direttore della clinica ostetrica di Vienna, spiega ai suoi assistenti che la causa delle infezioni che uccidono gli operatori e le puerpere "è un miasma invisibile, atmosferico, cosmico-tellurico, che penetra nel corpo delle donne avvelenandole e uccidendole. E non c'è nulla da fare".
L'unico a non credere a tale fantastica teoria è il più giovane assistente Ignaz Phillip Semmelweis il quale, nel 1848, giunge ad affermare che "le partorienti muoiono perché io e i miei colleghi nell'assisterle, e gli studenti nel visitarle, le infettiamo portando a contatto dell'utero sanguinante la sostanza cadaverica che rimane sulle nostre mani dopo le sezioni anatomiche. Ecco perché la mortalità è molto minore dove ci sono soltanto le ostetriche, che non fanno sezioni anatomiche". Secondo una prassi abbastanza comune a quel tempo, i medici andavano a visitare le pazienti dopo aver fatto pratica di dissezione di corpi morti, con le conseguenze ovvie che possiamo immaginare. Semmelweis obbligò i medici del suo reparto a lavare le mani col cloruro, prima di prendere i parti, e dunque li costrinse ad un’attenta profilassi. Ma nessuno volle credergli, anzi la categoria medica si sentì offesa dalle sue dichiarazioni, tant’è vero che quest’illuminato, che aveva precorso i tempi, fu allontanato e morì all'interno di un manicomio a causa di un taglio alla mano. La diagnosi, per ironia della sorte, fu proprio quella di ‘setticemia’. Quanta ignoranza, quanta superstizione! Sarebbe bastato affidarsi alla saggezza millenaria delle levatrici, all’intelligenza delle donne, alla loro capacità di prendersi cura degli altri. Dar loro fiducia, cosa che non era ritenuta possibile in una società maschilista, che delegava alla presunzione maschile ogni scelta! Vittime, naturalmente, erano altre donne: nell’ospedale del dottor Klein la mortalità raggiungeva anche il 90%! Le cose cambiarono solo diversi anni dopo, grazie ad una donna illuminata: Florence Nightingale. Ma qui comincia un’altra storia e ve la racconteremo la prossima volta”.

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