Inganno, di Philip Roth






Il protagonista di "Inganno" è uno scrittore cinquantenne che soffre di mal di schiena cronici, sessuomane e narcisista. Da tempo tradisce sua moglie con una trentenne, anch'essa sposata. È, dopotutto, un uomo simpatico, colto,  intelligente. Alla sua amante fa un sacco di domande, chiede, ma non svela molto di sé.

Lei, l'amante, è prigioniera di un matrimonio avvilente e dei ruoli che una moglie di solito finisce con l'incarnare. E' stanca, annoiata. Suo marito ha un'amichetta e lei non ha il coraggio di divorziare. 

Philip c'è, si incontrano nello studio di lui: scrivania, sedia, poltrona, un computer e un tappetino dove lo scrittore - che, come detto, soffre di mal di schiena cronici - fa esercizi e incontra le sue donne.

Sono dialoghi serrati, che si svolgono prima e dopo gli amplessi. Dialoghi sinceri, soprattutto, che non richiedono filtri, tra due adulterini stanchi delle loro finzioni quotidiane, con compagni a cui sono legati da qualcosa che forse ha a che fare con l'affetto, forse con la paura, o l'abitudine.

Il romanzo fu causa di una profonda crisi tra Philip Roth e la sua compagna di allora, l'attrice Claire Bloom. La crisi si concluse con un frettoloso matrimonio riparatore e un subitaneo divorzio. Claire chiese a Roth di cambiare almeno il nome del protagonista del romanzo (che era, nemmeno a dirlo, Philip), ma lui non volle saperne, negando che il fedifrago scrittore del racconto fosse lui. 

Anni dopo, invece, Claire svelò, nella sua autobiografia, di aver scoperto che la donna di "Inganno" era una vicina di casa con la quale Roth, per anni, aveva intrattenuto una relazione.

"Inganno" è la cronaca di una bugia, che coinvolge anche il lettore. E' la storia di un malinteso molto beninteso tra un uomo e la sua donna ufficiale. Una vicenda nella quale, forse, l'unica sincerità possibile è quella che riguarda proprio i due amanti e i loro discorsi: perché non è di amore, che si parla, ma di quel che resta e di quel che si vuole conservare e preservare di sé, della propria autenticità.

- Cosa pensi di questa storia?
- Che non c'è nulla di più transitorio.

Alla fine della lettura, resta un sentore di disperata malinconia, il sapore agro-dolce di una sconfitta, il senso della profonda solitudine di ogni vita e un vuoto di illusione in cui risuonano le parole del solo finale possibile.


 - Okay. Mi mancherai. Mi mancherai molto.
- Anch'io ti penserò spesso.
- E' davvero un gran peccato per noi due.
- Conosci quella poesia di Marvell?
- Quale poesia?
- "Fu generato dal desiderio a dispetto dell'impossibilità". Quella poesia.
- Mi pareva che fosse "disperazione"... "generato dalla disperazione".
- E' vero: è stato così. Tutte e due le cose.



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