"Calafiore", l'ultima riuscita prova d'autore di Arturo Belluardo







Ho letto tutto d'un fiato l'ultimo romanzo di Arturo Belluardo. 
Ho riso e mi sono pure molto commossa.

C'è dentro una storia di obesità, di disattamento, ma c'è anche una vicenda di "cannibalismo", quello che riguarda ognuno di noi; è la biografia di un perdente, probabilmente stanco di soccombere alle logiche dei furbetti e dei meschini. 

"Mangiare o essere mangiati?", scriveva Clarice Lispector in un romanzo letto molti anni fa. L'eterno dilemma non muta.

La gentilezza che viene presa per stupidità, il pudore che viene scambiato per incapacità: sono vicende all'ordine del giorno per Pino Calafiore, archivista bancario che convive con una ragazza madre e per il quale mangiare rappresenta la sola, vera consolazione. 
Vessato dai colleghi, tradito in amore e troppo onesto per concepire l'esistenza come mera prevaricazione dell'altro, accetterà di partecipare ad una gara da Guinness dei primati in diretta TV che gli cambierà la vita.

Nel romanzo, che unisce il dialetto siciliano a quello romano e che, soprattutto, mischia i generi (splatter, comico, horror), c'è una chiara denuncia nei confronti dell'attuale società che tutto fagocita e compra, in un 'nasci, consuma, crepa' che non prevede alcuna redenzione. 

Una società che schiaccia chi vive ai margini, mentre il 'grande manovratore' resta impunito. 
La 'repulsione' che si avverte leggendo le pagine dedicate al cannibalismo, al sesso senza sentimento, alla bruttezza fisica e morale di certi personaggi, è la stessa che dovremmo avvertire dinanzi ai soprusi e allo sfruttamento dei più deboli, di coloro che fuggono da guerra e miseria per essere reclutati a lavorare nei campi per due euro all'ora.

Lo stile di "Calafiore" è trascinante, carnale, materico, così come il mondo che descrive; tutto è brutalità e consumo, fino alla nausea, fino al disgusto. 
L'allegoria di un mondo che precipita verso la perdizione, trova il suo riscatto in un finale a sopresa, poco evangelico ma tanto, tanto liberatorio.

" Non che non avessi mai visto una palestra in vita mia (...). Però quando entrai nella sala attrezzi della Pumping Iron, con quei foschi neon bassi, con quel pavimento di linoleum marezzato (...); quando entrai e mi avvinse un odore di disinfettante sterilizzato che non era un odore, un non odore che avrei volentieri fatto sentire a Marc Augé (...). Quando entrai, girai le spalle e feci per uscirmene".

"Calafiore", Arturo Belluardo, Nutrimenti Edizioni, 2019



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