Divagazioni sul tema del "doppio"



Susan Sontag

Interrogandomi sul tema del doppio - è stato argomento di un incontro del gruppo "Leggere mette le ali" - ho ripensato alle domande che i libri hanno spesso attivato in me.
Le dicotomie che sentivo dentro affondavano le loro radici nel mio rapporto col 'primo mondo', ossia col materno e con ciò che avrei dovuto essere. 

Nell'osservazione di me stessa e degli altri è arrivato qualche aggiustamento, l’accettazione dei miei limiti e lo smussamento di ciò che aveva a che fare col mio carattere e col mio temperamento. Dunque ho compreso che, mentre si naviga a vista, osservare può essere davvero utile. 

Da ragazzina mi imbattei in Susan Sontag per caso.
In un suo scritto l'autrice affrontava il tema del ‘doppio’ (tema che allora era, per me, ancora qualcosa di indistinto, perso nella nebbia delle mie riflessioni acerbe). Ritagliai da una rivista un primo piano della S. e incollai la pagina sull'anta dell’armadio della mia camera da letto, che custodiva immagini di cantanti, attori, poeti, tutti protagonisti del guazzabuglio confuso in cui cercavo me stessa. 

*

La Sontag parlava del famigerato doppio, ammettendolo ovviamente in sé, ma aggiungendo molto di più. “La saggezza richiede un modo di vita singolare in un altro senso”, scriveva, “cioè perversa. Per sapere di più, devi evocare tutte le vite possibili, e poi lasciare fuori tutto quello che ti è sgradito. La saggezza è una cosa impietosa”. Dunque, per Sontag, il doppio è uno degli strumenti per arrivare all'essenza, se si riesce a riconoscerlo e ad osservarlo in modo neutro e obiettivo. Si è tante persone diverse ("il nome dell’uomo è legione") prima di diventare - se davvero lo vuoi - ciò che sei.

Naturalmente, il doppio può anche essere accettato e non considerato un limite da superare. Questo dipende dalla propria visione della vita e da ciò che ti muove (“contengo moltitudini”), ma non è esattamente il mio caso. 

In poesia, chi ha espresso assai bene il concetto della dissociazione è certamente Rimbaud, nella famosa Lettera in cui dichiara che “io è un altro”:


Nel suo distacco dall'io, alla ricerca del vero sé, il poeta arriva all'ignoto e, pur impazzendo, visto che perderà l’intelligenza delle sue visioni, egli le ha viste. “Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innumerabili; cominceranno altri orribili lavoratori, cominceranno lì dove l’altro si è fermato”. Il doppio è, dunque, vissuto come strumento di discesa agli inferi, necessario smarrimento, esattamente come asseriva la Sontag. Per Rimbaud, però, non c’è ritorno, la perdita è definitiva, irrimediabile. Non si tratta di un’acquisita saggezza, quanto di un lutto, della consapevolezza che elimina ogni illusione, restituendoti alla verità.
Nulla conta, nella vita, se non il ‘vero’. La consapevolezza coincida pure col suicidio del sé, o con la fine di ogni cosa.  E che tutto accada in nome dell'Arte perché, per Rimbaud, non c'è nient'altro che questo, l'Arte come rivelazione e, alla fine, necessaria dissoluzione.

#leggeremetteleali #ildoppio




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