Lisboa, mio amore


Vista dall'Elevator de Santa Justa
@copyright Tullia Bartolini 


Della Lisbona di circa vent'anni fa ricordo soprattutto l'odore di cipolle fritte tra i vicoli del Rossio, un odore oggi scomparso, assieme alla voragine del palazzo distrutto da un incendio in Rua Garrett.

Lisbona, nel 1994, venne scelta come capitale della cultura europea e sembrava scalpitare, voler uscire dall'isolamento esotico in cui la si immaginava, anche in virtù del suo nome, pronunciato con  la 'esse' arrotondata. 

Me ne innamorai perdutamente.

Era il mio primo vero viaggio con A., l'estate atlantica inondava il cielo di luce e l'azzurro costringeva ad alzare gli occhi oltre le guglie e i pinnacoli delle costruzioni manueline, ben piu in alto dei palazzi dell'Avenida.

Oggi ho ritrovato una Lisbona più vivace, meno ritrosa, fascinosa ma più europea, omologata, nei negozi come nei locali, ad altre mete conosciute.

Conservo ancora le foto di quel viaggio di vent'anni fa, foto che si stampavano perché non si perdesse la memoria concreta dei luoghi visitati. Avevamo nei volti una sana curiosità verso un modo di vivere che ci pareva molto diverso dal nostro. L'Avenida era circondata da aiuole che erano quelle degli anni sessanta, nei vicoli potevi bere un buon caffè italiano in bar che non erano mai stati ristrutturati, coi banchi in marmo eroso dagli anni. Gli 'electricos' erano qualcosa di più di un'attrazione turistica, si ponevano come parte integrante del paesaggio, delle vie che scendevano disordinate verso il Tago.

Praca do Comércio non era più da tempo un parcheggio a cielo aperto, i camerieri de "A Brasileira" erano più gentili di adesso. Io ed A. eravamo molto giovani, vestivamo in modo semplice, eppure sorridevamo dinanzi alle vetrine dell'Avenida che proponevano capi fuori moda e scarpe che nessuno di noi due avrebbe mai calzato.

Al Castello de Sao Jorge si accedeva passando per una biglietteria sgangherata e senza fare file chilometriche, davanti al Monastero de Los Jeronimos ricordo laghetti d'acqua limpida su cui galleggiavano delicatissime ninfee che non ho più veduto.

Certo, gli anni passano e non si può pensare che una capitale europea non desideri stare al passo coi tempi. Quello che ancora rende bellissima Lisbona sono certi sapori, tipo quello dei pasteis consumati alla pasticceria de Belém, che ho mangiato con il solito, ingordo desiderio. Il baccalà ora arriva dalla Norvegia, mi dicono, ma il Tago è splendente e la passeggiata sul lungofiume è davvero bellissima. C'è questo incanto che gli anni non riescono a cancellare e che ti resta nella pelle quando torni a casa, in Italia. Ancora oggi non so spiegare perché.

E' forse l'atmosfera che si respira nella 'Pensao Amor', antico bordello riconvertito nella zona un tempo malfamata di Rua Alecrim,  dove andavano a consolarsi i marinai appena sbarcati. E' l'incanto dell'Atlantico e delle sue storie, una malia portata dal vento, che segue l'ombra di Fernando Pessoa, la sua andatura decisa fino al caffè di Martino da Arcada. Eccolo en flagrante delictro, il bicchiere alle labbra, che spera di non essere visto, per sempre solo, infelice e fingitore.

(« Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
Che arriva a fingere che è dolore
Il dolore che davvero sente. »)




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