"La mannaia" di Paola Presciuttini
Credo che uno degli
indicatori certi della potenza di un
romanzo sia il fatto che i suoi protagonisti ci restino ‘dentro’ a lungo, anche a lettura finita. A me questo
è certamente accaduto con “La mannaia”,
di Paola Presciuttini, scrittrice toscana della quale avevo già apprezzato “Trotula”,
anch’esso edito da Meridiano Zero, dove si narravano le vicende della prima
medichessa della storia.
Una sfida non facile,
per l’autrice, affrontare il tema della
peste che colpì l’Italia nel 1348, giungendo nella dilaniata Firenze, già sfiancata da un’imponente carestia e da faide interne. La mannaia non
risparmia nessuno: poveri, ricchi, orfani, notabili. Avanza con voracità
impressionante, stana i sentimenti più reconditi, rende cattivi ed egoisti,
tirando fuori, da ognuno, i peggiori istinti, in una lotta alla sopravvivenza
che non salva neppure i rapporti tra madri e figli.
Ed è appunto contro
la meschinità umana che la Presciuttini punta il dito, riconoscendo alla peste
il ruolo di giudice imparziale, cinico, freddo. Ne “La Mannaia” protagonista è
una famiglia fiorentina arricchitasi grazie all’ingegno di Torello Del Verro,
macellaio e rappresentante dell’Arte dei macellai in Firenze. Uomo prudente, risoluto, è un combattente a cui Amelia darà due
figli, Falco e Lupo, uomini segnati da un destino diverso. In loro e in Orso,
avuto dalla prima moglie, purtroppo morta prematuramente, si concentrano tutte
le caratteristiche dell’animo umano, descritte con penna abile, precisa,
ammaliante. Fede, scetticismo, materialismo, coraggio, pavidità, una girandola di
contraddizioni sulle quali, forse, spicca la lucida visione della vita che è propria
di Lupo, formatosi sui testi dei grandi pensatori e costretto – a causa di una
deformità – a guardare il mondo con
occhi disillusi e, pure, compassionevoli.
Grande protagonista
del romanzo resta però Firenze, bellissima e fiaccata dagli eventi; con le sue
strade, la magnificenza delle piazze e dei palazzi. Intorno alle mura, splende
la bellezza dei fiumi, la potenza della natura, bella di una bellezza invincibile e indifferente,
nonostante la morte, i miasmi, l’orrore e la putrefazione.
Ai sopravvissuti
alla mannaia – così equanime nel distribuire le sue punizioni – resterà da
vivere (o, piuttosto, sopravvivere) con l’eterna domanda sul destino dell’uomo,
sull’inutilità delle superstizioni e sulla cattiveria degli esseri umani,
impietosi verso se stessi e verso il mondo animale.
Mentre a Firenze,
di nuovo, si combatterà tra fazioni, lavando col sangue e l’abominio il
riconoscimento di diritti da sempre negati. Ma si sa, con siffatti moti muove il mondo degli uomini, che mai cambia, come sembra ricordarci la Presciuttini,
in questo bel romanzo tutto da gustare per i suoi toni gotici, per la sicura
ricostruzione di ambienti e costumi e per lo stile impeccabile.
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