"Mi sgridi i piedi", di Luca Gamberini. Omaggio a un outsider, scanzonato e amaro



Nella foto, Luca Gamberini

"Ho iniziato a scrivere per cercarmi quando non mi trovo", ha detto di sé Luca Gamberini, nel corso di un'intervista rilasciata non molto tempo fa, che abbiamo letto dopo aver divorato la sua ultima raccolta poetica, "Mi sgridi i piedi" (Ed.Youcanprint, aprile 2016).
Bolognese di nascita ma centese di adozione, dichiara anche che: "Scrivere è la mia medicina".
Ci sembra di capirlo, Luca. In fondo, vuoi o non vuoi, è sempre questo il giro che si fa: si torna da dove si è partiti, nel luogo del delitto, lì dove abbiamo tentato di scavallare il rimosso.
La scrittura - dicono - può essere riparazione, tentativo di dar forma e ordine alle cose, anche perché: "Il mondo è breve e le nuvole ritornano". Si scrive pure per rendere meno amara e insostenibile la vita. Perché 'quel che appare' non basta. Ma i poeti sono sempre individui nudi tra altri individui vestiti. Scoperti più di altri, trasparenti. "La leggerezza è la condanna più pesante da scontare", recita un aforisma di Luca.
La sua ultima raccolta poetica è un libretto geniale e toccante che, a leggerlo, ci ha turbati. Il suo poetare può essere apparentato ad altri autori che apprezzo: penso alla levità grave di Franco Arminio, paesologo dallo sguardo illuminato. Nei versi Di Luca Gamberini le cose non sono mai dove dovrebbero stare: le persone come le parole, e forse anche gli endecasillabi. Perché, in fondo, Luca lo sa: niente è come appare, la realtà è una nostra proiezione, un gioco di specchi, di bugie e di rimandi. I folli sono i soli ad esser sani, a saper vedere dentro agli occhi dell'avversario. E, in quegli occhi, si perdono, confondono i segni, rimescolano le carte della loro stessa esistenza. "Mangiare, essere mangiati", scriveva Clarice Lispector: i visionari sanno che la dolorosa strada è questa, se si vuol toccare il cuore delle cose, e raccontarle.
Luca Gamberini non ha paura. Vede, come dietro una porta discosta, il gioco delle parti. Ride delle fatalità, ma il suo è un riso amaro, consapevole. Conosce smarrimenti e inciampi; ma pure delusioni, illusioni, silenzi. E, ancora, paradigmi, scorciatoie, labirinti.
Infine, conosce l'amore. "Tu sei l'amore sgorgato dal margine di struttura primario, tu sei l'amore aggrappato ad un silenzio epigono (...) tu sei l'amore dagli occhi del gatto, che sai arriverà il giorno in cui non ritorna". In Luca Gamberini vive e brilla il paradigma di Rimbaud, secondo cui 'io è un altro'. Il vero poeta è un veggente che va oltre se stesso, che conosce l'arte in senso oggettivo e sa farsi memoria concreta di ciò che è la vita.

(L'articolo è apparso sul sito seguente:
http://www.aphorism.it/luca_gamberini/libri/mi_sgridi_i_piedi/)


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