Cambogia, un racconto fotografico

Per parlare della Cambogia si potrebbe cominciare proprio dalla frase riportata nella foto qui di sotto, che la dice lunga sulla saggezza dei cambogiani.
 
La scuola delle torture, l'S21

Quella stessa saggezza che ha consentito a un popolo tanto martoriato - il cui 70 %, oggi, è composto solo da giovani al di sotto dei trent'anni - di superare gli anni della Kampuchea democratica, dell'auto-genocidio e dell'orrore. Ho visitato la scuola della capitale dove i dissidenti - o presunti tali - venivano torturati. L'S21 prendeva il nome dalla radiofrequenza locale. La guida che ci accompagnava è uno dei pochi sopravvissuti allo sterminio. Ha perso il padre, due sorelle e un fratello, durante il regime dei nove. Ce lo ha raccontato mentre eravamo seduti su una panchina, nel cortile della scuola, in cerca di refrigerio. Lui - che si chiama Iv Sor ed è una persona amabilissima, oltre che un'ottima guida parlante italiano - faticava a raccontare. E non era certo per il caldo.


Scatti 'rubati'

Come si può descrivere la Cambogia? Ho già parlato, in un altro post, degli anni di Pol Pot. Qui mi affiderò prevalentemente alle immagini, alle fotografie che ho scattato. Parlerò di visioni e di emozioni, non di politica. Perché, soprattutto, la Cambogia é un paese da vedere, da visitare. Soffocante. Luminoso, abbagliante. Con i suoi odori, il sole morente al tramonto, i vapori di vino, di erbe putride.


Le ninfee del Palazzo Reale di Phnom Penh
Il Mekong



Rivedo donne operose intente al lavoro, ponti sospesi su corsi d'acqua. Risento il vociare confuso nei vicoli sterrati, m'avvolge il profilo d'ambra delle case sull'acqua. Eccomi ancora nel chiasso, tra le contrattazioni, nel mercato russo di Phnom Penh.


Mercato russo

Intorno a me, davanti a me, i cani di Kampong Thom, le impalcature di bambù che imbragano i palazzi in costruzione, la sporcizia. Le tarantole fritte, i bambini col moccio al naso. A proposito: i bimbi cambogiani sono di una bellezza incredibile. E poi, tra casa e casa, rivedo le ragnatele di fili elettrici...



I chioschi che traboccano di cibo lungo il Mekong, o nei mercati che costeggiano le strade; i motorini ingombri di merci, carichi fino all'inverosimile di persone, e cose.


Carrying Cambodia
Lungo il fiume, a Kampong Thom


Il sorriso dei cambogiani è dolce ma indecifrabile: non sono presenti, ma neppure distanti. Hanno volti che ricordano le pietre eterne del Bayon. O di Angkor Wat, una delle meraviglie del mondo moderno. Dalle visite ai templi si torna come frastornati. Resiste - esiste! - la bellezza capace di reggere a ciò che è disumano, atroce, inenarrabile. La Cambogia è questo: si difende sfuggendo al presente, restando misteriosa e impenetrabile. Eppure è nuda nella sua disarmante, malinconica resa ai nostri occhi di turisti e di fotografi.



Angkor Wat


"Siamo viaggiatori occidentali in cerca di una civiltà non ancora ferita dal progresso (...). Viaggiatori in cerca di esotismo e di povertà da amare", scriveva Tiziano Terzani. Però di certi luoghi ci innamoriamo veramente.

Un indovino benedice il mio braccialetto di stoffa 
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