VIAGGI - Istanbul: una città sospesa

La penna di Oran Pamuk saprebbe certamente descrivere meglio di me (chiunque abbia letto il suo ‘Istanbul', edito nel 2005, sarà d’accordo) l’incanto, la magia, l’uzùn della città di Istanbul.
 

Ci sono tornata per la quarta volta e mi è parsa, come ogni volta, diversa. Distese di fiori lungo la strada che collega l’aeroporto al centro, aiuole curate, prati di tulipani e combinazioni di colori in ogni angolo. I moderni tram sferraglianti non tolgono nulla alla bellezza malinconica delle strade principali, tagliate dai vicoli pullulanti di persone. I venditori che trainano sui carri arance e melograni aggiungono colore all’azzurro sgargiante del cielo, rotto solo dal volo dei gabbiani e dalle punte aguzze dei minareti. Il profilo della città, che tanto incantò scrittori francesi come Flaubert, si delinea lungo la costa, dove si vende pesce dai barconi.

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A ridosso della moschea blu si mangia in un posto turistico dove un derviscio ruota su se stesso con la grazia di un vero seguace di Rumi. La modernizzazione della città passò per una dolorosa rinuncia al passato, fortemente voluta da Ataturk; tra queste rinunce, ci fu sicuramente la chiusura delle scuole dove si formavano i mevlevi. Scrive Oran Pamuk che, così facendo, Istanbul fu condannata a essere una sorta di 'non luogo': non moderna (ancora oggi, la Istiklal, che sfocia su piazza Taksim, ha qualcosa di vetusto, nonostante i negozi e la folla di gente che la animano) ma neppure all’altezza degli splendori del sultanato. Forse questo non essere piu’, senza essere ‘ancora’, la rende tanto affascinante: sospesa tra passato e presente, modernità e fatiscenza (oggi, però, tutto appare in fase di ricostruzione), Istanbul sembra guardi il viaggiatore da un luogo impossibile.

Fumiamo il narghilè adagiati su una panca mentre ci servono del kebab con contorno di riso. Amo questi posti elementari, dove tutto è senza pretese, libero, e puoi sostare a lungo. Istanbul è piena di caffè con sedute basse, all’aperto, e teli colorati sui tavoli. Bere caffè turco, avvolti da una densa nuvola di fumo, è un’esperienza a parte. Come farsi massaggiare – dopo un intenso savonage – al Cemberlitas , uno degli hammam più antichi della città. La struttura è del 1500, nel settore femminile corpulente donne in costume da bagno ti aspettano per un trattamento corpo che si concluderà con un bel lavaggio di capelli. Ci stendiamo su uno dei lati della piattaforma esagonale che è posta al centro della stanza, in attesa dello scrub. Il soffitto è a cupola, il sole entra dai fori disseminati lungo la volta, creando un effetto simile a quello che certamente colpiva i viaggiatori occidentali cent’anni fa. Ripenso a Pierre Loti, ma anche – sempre – a Flaubert, che fu ospite di un bordello turco e apprezzava certe comodità. Siamo nude, ma nessuno fa caso alle compagne. Chiudiamo gli occhi mentre il vapore sale, proviamo a immaginarci in un altro tempo, lontane dalla quotidianità.


Il Cemberlitas
All’uscita ci attende il sole e il grido del muezzin che invita alla preghiera nell’ora canonica. Ci sediamo su una delle panche di legno poste davanti alla moschea blu, dove c’è gente seduta a mangiare, che toglie le scarpe e riposa prima di caricare la bici e ripartire. Molti sono abitanti di Istanbul che hanno preferito confondersi nella folla dei turisti, piuttosto che stazionare sui prati lungo il mar di Marmara. La città ‘in bianco e nero’ di Pamuk sembra in festa, lucente. Lontana ci pare, stamane, l’Istanbul di certe vecchie cartoline, con i facchini che trascinano sulle spalle le cassette della frutta, le donne a capo coperto che stendono i panni o tengono per mano bambini dagli abiti laceri. Molte delle antiche case di legno che circondavano Santa Sofia sono state ristrutturate e dipinte in delicati colori pastello; una è stata trasformata in un comodo hotel a cinque stelle. Permane, però, soprattutto al tramonto, come un senso di struggente sospensione, che anche il passante più distratto non può fare a meno di notare. Quando i negozianti abbassano le saracinesche e i venditori del Gran Bazar dismettono le loro mercanzie. O quando, percorso il lungo ponte di Galata, tra i pescatori che, immobili, guardano l'acqua in attesa che abbocchino i pesci, si finisce a ridosso del Bazar delle Spezie, ormai semivuoto, mentre un discreto torpore s’insinua tra le strade, giù fino al Bosforo infiammato dalla luna. Allora la slava Rosselana si stende tra i cuscini e offre il seno prosperoso allo sguardo di Selim il sultano.

Rosselana danza per il sultano

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