Der Suchende: perché si scrive

Come e perché si inizi a scrivere è domanda a cui si potrebbe tentare di dare una risposta filosofica. Ma si rischierebbe di diventare noiosi. A casa dei miei c’erano molti libri e, anche per disattenzione, mi ci imbattevo. La mia attrazione verso l’invisibile nasce certamente da questo. I libri mi consentivano di fantasticare ogni momento su altri posti, altri mondi; potevo essere, attraverso le pagine che leggevo, molte differenti persone. A sette anni fui attratta da Gérard Philipe, l’attore francese. Una passione incontrollabile. La Francia mi sembrò a un tratto il luogo ideale dove vivere; inventavo personaggi dai nomi improbabili che finivano tutti con ieu, o ier. Con le mie amiche d’infanzia creai un giornalino che aveva a che fare con belle donne, attrici, grandi città. Ritagliavamo le immagini dai giornali femminili e inventavamo interviste impossibili. Poi ho iniziato a collaborare al settimanale della scuola, cosa che mi sembrò più concreta, e lì conobbi un sacerdote, Don Paolino, che mi spinse a scrivere sulle pagine di alcuni quotidiani. Scrivevo di tutto, giravo per la città e mi proponevo con interviste, resoconti, sondaggi minimi. Di quel tempo mi è rimasta una certa propensione per la sintesi. Non amo la scrittura che fa troppi giri e si dilunga; l’ho apprezzata solo in Henry James, ma stiamo parlando di qualcos’altro. Il mio autore preferito, da ragazzina, fu Pratolini; così struggente e sincero. I suoi amanti poveri avevano una dignità che si stenta a trovare nei personaggi di oggi. Ma, prima ancora, credo che alla lettura mi abbia fatto appassionare Mika Waltari, l’autore di ‘Sinuhe l’egiziano’. Grande testo, scovato nella libreria di famiglia: nulla a che vedere con i vicoli fiorentini e gli abbracci disperati negli androni bui, ma lo lessi ininterrottamente fino alla fine e capii che, nei libri, si può trovare assoluto riparo. A sedici anni incontrai Hermann Hesse e, grazie al suo Der Suchende, Siddharta, provai a scrivere qualcosa che non fosse solo il resoconto delle convention locali, peraltro noiose e presidiate dagli esponenti di partito. Per la verità, ci avevo già provato da bambina con un testo corredato da disegni fatti a matita. ‘Camilla’ era una contadinella e la sua storia era tutto un intreccio di belle parole, amore tormentato e riscatto. L’esperimento rimase custodito in un cassetto, dove si trova ancora oggi. Credo che la mia passione per la scrittura si sia formata sui libri che leggevo e che mi consentivano di accettare l’inaccettabile del reale. Insomma, la vita vera non mi è mai piaciuta, mi sembrava limitata e iniqua. Ho pubblicato a diciotto anni un romanzo breve che aveva per protagonista una ragazza e il suo personale viaggio lontano dalla famiglia, a New York. Anche lì c’erano troppe parole, aggettivi, rimandi alle letture fatte. Scrivere è cosa ardua, lo sanno bene quelli che ci provano. Serve tempo, gli anni sono necessari a trovare un linguaggio personale. Bisogna leggere moltissimo e mettere da parte tutto quello che si è letto. E, quindi, scrivere per poi eliminare la massa inutile, come amava dire la Duras.
Ho avuto passioni letterarie molto forti; alcune le ho razionalizzate e approfondite, tanto che mi sono rimaste dentro come un segno. Altre sono state meno importanti perché nascevano soprattutto da un confuso desiderio di conoscere. Ho letto di tutto, metabolizzato ogni genere tranne, forse, quello noir, che non mi ha mai catturata. Ho dedicato questo blog a Franz Kakfa, di cui ho amato la capacità di mettere nero su bianco il concetto dell’io è un altro. Ho scritto poesie ed altra prosa: racconti, testi teatrali. Scrivere oggi è, per me, soprattutto riscrivere. Per arrivare a un centro possibile, a una sorta di risposta oggettiva al caos dell’esistenza.

Commenti

  1. "Perché si scrive?" Bel punto di domanda. Peccato che il quesito non venga approfondito.... Certo, le risposte possono essere molteplici: non solo di ordine filosofico, ma anche di ordine psicologico. Può anche darsi che una tal cosa non possa venir esplicata in un solo post, ma ciò non dovrebbe farci desistere dall'approfondire un argomento così importante. Dici che una tal cosa appesantirebbe il post. Cosa vuol dire per te esser "pesanti"? Io, sinceramente, preferisco essere "pesante" anziché il contrario.

    RispondiElimina
  2. Caro Pierluigi, il mio era un esergo pretestuoso e...presuntuoso ! Non so neppure perché scriva io !! In parte perché scrivere mi consente di vivere più vite possibili. Poi perché la parola é qualcosa di potente , e di seducente. Di certo sono d 'accordo con Italo Calvino e con quanto dichiarava nele sue lezioni americane ... Scrivere serve a dare forma e ordine al mondo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non saper "perché si scrive" potrebbe essere un buon motivo per cercare di capirlo. Evitare, però, di approfondire con il pretesto di risultare "pesanti" ( per chi?) mi sembra una cosa davvero surreale. Ecco, se posso permettermi una critica, credo che questo sia un tuo limite: sei indubbiamente una persona colta, invidiabile sotto tanti punti di vista, però non vuoi mettere a nudo la tua anima.

      Elimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Persone

Mia madre, di Doris Lessing

Da Malaga ad Almeria, coast to coast: cosa vedere in una settimana