Josef K., ovvero del bancario medio

C’è un signore molto distinto, di cui non faccio il nome che, talvolta (e sempre temendo di essere invadente), si ferma davanti alla mia scrivania e mi parla di libri e di poesia.
Il fatto è che non è semplice parlare di letteratura nel contesto in cui lavoro. Ma lui mi aggiorna, con aria compita, lasciandomi ritagli di giornale che potrebbero interessarmi e andando via subito dopo. Una volta mi ha detto, en passant, che c’era, nei miei versi, come "una ricerca … nei confronti di qualcosa che è apparso per un momento e che poi è scomparso”.


L’altro giorno mi ha fatto dono della pagina culturale del ‘Corriere della Sera’ dove c’era un bell’articolo di Sergio Bocconi dedicato ad autori come Pontiggia - ma anche Kafka – e al lavoro in banca. L’ho letto avidamente perché l'autore dell'articolo cercava di comprendere come mai quest’attività professionale abbia ispirato tanta letteratura e pagine d’inchiostro.
Molti anni fa, scrive Bocconi, ‘il lavoro del bancario rappresentava il miglior traguardo possibile dati i livelli retributivi, la tranquillità di posizione e la garanzia di una carriera, seppur assai lenta’.

Prestigio, status sociale, valorizzazione personale. Così si è sempre creduto. Invece, nelle pagine scritte dedicate a questo mestiere, prevale l’oscurità di una professione routinaria e dominata da piramidi gerarchiche, come anche Italo Svevo ricorda nel suo ‘Una vita’, o come scrive Pontiggia ne ‘La morte in banca’, dove un settorista addirittura si suicida. Ricorda Giampaolo Rugarli, anche lui ex bancario: “A mia memoria mai si conobbero prestatori d’opera più infelici e, chissà perché, più invidiati". 

Appiattimento delle carriere, livellamento delle professionalità: anche di questo è fatto il lavoro del bancario. “Resta ormai solo l’idea della sicurezza del posto: mi angoscio, mi deprimo ma, fuori di qui, dove vado?”, sottolinea ancora Rugarli.

Cosa scriverebbero, adesso, autori come Pontiggia e Svevo, in merito al lavoro del bancario? Cosa farebbero dire ai loro impiegati? Sarebbero d’accordo con Bauman (che, difatti, Bocconi cita nel suo articolo), che aveva tutto già previsto anni fa nei suoi testi sulla ‘liquidità’? 
E cosa denuncerebbe T.S.Eliot, anche lui bancario infelice ed ispirato (tristemente) dal suo lavoro? Infine, quale altro capolavoro saprebbe regalarci il meraviglioso Franz Kafka, protagonista il suo Josef K., condannato a non sapersi difendere dall’ingiustizia del sistema?



 
 

Commenti

  1. In tempi di mestissima crisi come questa, persino un posto di usciere può suscitare invidia. La sicurezza di avere uno stipendio ben remunerato, la possibilità di contrarre un mutuo, ferie pagate ecc. sono sicuramente cose di non poco conto. Poi, in genere, si confonde il banchiere con l'impiegato di Banca che nell'immaginario comune appaiono erroneamente come sinonimi. Il testo da te citato, evidentemente, fa riferimento ad altri ambienti, dove fare l'impiegato viene visto come una sorta di ripiego, e quindi assume tutt'altro significato. In provincia l'impiegato tipo è, di solito, una persona raccomandata, arrivata in quel posto senza nemmeno fare un concorso. Naturalmente non è sempre così e adesso anche le Banche si vedono costrette a ridurre il personale. Ma comunque, almeno qui, il "mito" rimane. Ciao.

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  2. Grazie, Pierluigi, per la generosità con cui mi segui e commenti. In realtà, l'articolo che cito sottolineava il collegamento tra questo specifico lavoro e l'ispirazione letteraria che ha sempre suscitato. E si interrogava sui motivi di questa 'ispirazione'. Non a caso, da sempre si dice che il lavoro del bancario è un lavoro 'kafkiano'. Un grande abbraccio.

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    1. Su questo argomento ti consiglio un bellissimo lavoro di Pessoa che ho letto e ho trovato illuminante: IL BANCHIERE ANARCHICO.

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  3. Mi manca, non l'ho letto. Come tutte le persone sensibili, doveva aver capito molte piu' cose degli altri ...

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    1. Se ti interessa il cinema, invece, ti posso consigliare questo vecchio telefilm con un insuperabile Paolo Stoppa: Accadde a Lisbona.

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  4. Potremmo allora dire che anche Lisbona e il Tago hanno ispirato autori, attori e letteratura! Io la trovo una città bellissima.

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