Il ballo, di Irene Nemirovsky

Un ballo, l'ingresso nella borghesia che conta.
Lei è un' ex dattilografa che da sempre invidia i ricchi e lui un ebreo divenuto potente attraverso le speculazioni di borsa. Nel mezzo, innocente, la loro unica figlia, nata per caso e, forse anche per questo, mai amata.

Il ballo è previsto per le nove di sera nella grande casa appena acquistata dai genitori di Antoinette. Sarà, secondo i loro desideri, solo l'inizio di una vita da consacrare alla mondanità, alla fatuità, al benessere. Ma qualcosa sfugge agli stessi coniugi, li mangia da dentro, rendendoli crudeli. In questa vicenda, dalla trama apparentemente banale, splende tutto il genio e lo sguardo di una scrittrice che il destino ha voluto strappare alla fama troppo presto. Presto, ma non per sempre.


La vita di Irene Nemirovsky finì in tragedia, così come tragico e pessimista fu il suo sguardo sull'animo umano. La morte per tifo la colse ad Auschwitz. Aveva però fatto in tempo a consegnare alle figlie, e ai loro genitori adottivi, una valigia piena dei suoi scritti.

Ne 'Il ballo' si critica la borghesia che rifioriva dopo la prima guerra mondiale: con la sua brama di denaro, l'ascesa economica a tutti i costi.
Antoinette, la protagonista, è vittima di tutto questo: dell'apparire, dell'avidità, del vuoto di sentimento dei suoi genitori. Che usano gli altri - e perfino se stessi - per scalare i salotti bene della città, da 'poveri arricchiti' quali sono. Non c'è una sola parola sincera, per la fanciulla, che nessuno ascolta e comprende. Inosservata, la bimba vede invece molto chiaramente ciò che accade intorno a sé e finirà col vendicarsi in modo tremendo, usando i soli strumenti che le abbiano insegnato.

(In questa foto, la Nemirovsky è col marito, morto anche lui in un campo di concentramento, e le due figlie).

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