Franz e Yair, ovvero della paura di amare

"E' un fuoco vivo, quale non ho mai visto" (Franz Kafka su Milena).

Sara’ stato lo stesso del ritratto della Wulz, il viso di Myriam, com’era quando Yair la vide, per la prima volta,  nel cortile della scuola.
Difficile entrare nella mente complessa di due scrittori di talento. Scoprire il punto in cui le loro sensibilità convergono. Ma Grossman ha pensato a Franz Kafka nel momento stesso in cui ha deciso di scrivere ‘Che tu sia per me il coltello’ (frase tratta, appunto, da una lettera di Franz a Milena Jesenska) per raccontare la paura di amare. E per dire, ancora, quanto coraggio occorra per toccare veramente l’anima – e il corpo- di un altro essere umano.

Dunque lei, nel romanzo di Grossman, la donna intravista nel cortile della scuola: il suo sguardo, la ferita dello sguardo, che a lui – che della stessa effrazione soffre e porta i segni – non sfugge. Ne rimane folgorato. Le chiede di poter ‘stare’ con lei, in un rapporto puramente epistolare. Di provare ad unirsi nelle parole.

Si può costruire un testo pieno di struggimento e di ricordi, anche partendo da lì: ricordando, a memoria, le lettere che Kafka scrisse a Milena. ‘Che tu sia per me il coltello’ (Mondadori, 1999, pagg. 330) racconta una storia d’amore muovendosi da un altro amore, o meglio dalla sospensione della parola ‘ti amo’, che fu di Kafka e che, nel romanzo, è anche del protagonista maschile, Yair. (‘Io non ho mai sperimentato la parola ti amo. Ho fatto esperienza solo dell’attesa silenziosa che avrebbe dovuto essere interrotta dal mio ti amo’. Così, nelle su citate lettere di Kafka a Milena Jesenska). La difficolta’ di esserci veramente diviene centrale al racconto. Un'incapacità (quella di amare), che la rete, con i suoi giganteschi gangli, oggi celebra piu’ che in ogni altro secolo. E che Grossman, invece, affida alle lettere che i due (Myriam e Yair) si scambiano mediante una casella postale. Myriam non è Milena, la donna che Kafka frequentò, amica di Max Brod e, assieme a quest’ultimo, tra le poche persone che lo compresero a fondo. Non ha, e non vuole avere, l’impeto vitale della Jesenska. Yair le scrive: ‘E’ stata la tua ferita ad attrarmi, quel tuo sorriso da campagna elettorale’. A Grossman interessa Yair (Kafka), ed è lui che parla, attraverso quasi tutto il romanzo. Lei appare nelle pagine successive all’addio, raccolte in un diario, che sono una resistenza all’addio stesso. Ma Myriam – piu’ mite, delicata di Milena - c’è, e vibra, soprattutto nei termini che usa, nel racconto della sua vita. Cose che Yair riporta nelle sue missive.

Si riconoscono, i due (come spesso accade), nel misurare la profondita’ della loro ferita, quella di non essere stati amati come bisognava (Schellembaum). Nelle lettere ritorna l’infanzia di Yair e di Myriam, esattamente come nello scarafaggio kafkiano, isolato nella sua diversità. Ed e’ Max Brod (a cui si deve la sopravvivenza di gran parte degli scritti di Franz Kafka) a ricordare l’origine di un capolavoro come “Il processo”: il protagonista viene svegliato (nel mezzo del sonno) da qualcuno che viene a ricordargli una colpa originaria. Di notte il padre di Franz, per punirlo, lo toglieva dal letto con violenza, per rinchiuderlo all’addiaccio sul balcone. Voleva renderlo forte. (‘La mia valutazione di me stesso dipendeva da te più che da qualunque altra cosa, più che, poniamo, da un trionfo esteriore. Dove vivevo ero ripudiato, condannato, combattuto e mi sforzavo bensì di rifugiarmi altrove, ma questo non era un lavoro, poiché si trattava di cosa impossibile, irraggiungibile, per le mie sole forze’ - da ‘Lettera al Padre’, F.Kafka).
Così pure in ‘Che tu sia per me il coltello’ è Yair che scrive a Myriam: ‘All’ improvviso ho capito qualcosa che non avevo mai considerato: quanto i miei genitori siano stati infelici a causa mia. Non avevo mai pensato alle umiliazioni che gli ho procurato’. Era invece tutta materna la propensione di Kafka all’invisibile (‘Tra gli antenati della madre troviamo gli eruditi, i sognatori, con una tendenza alla stranezza o rapiti dall’avventura, l’esotismo, la bizzarria, la solitudine’ - Max Brod, in ‘Franz Kafka’).

Yair scrive alla donna appena intravista nel cortile della scuola: ‘Ti ho veduta l’altro ieri al raduno del liceo. Tu non mi hai notato, stavo in disparte, forse non potevi vedermi (…). Se mi devo spiegare, allora è tutto inutile: non sentirti in dovere di rispondere, probabilmente mi sono sbagliato sul tuo conto. Ma se sei tu, quella che ho visto stringersi nelle braccia con un cauto sorriso, credo che capirai ‘ (così Grossman).

Anche in Franz troviamo questo rifugio nella fantasia, proprio quando la realtà sembra farsi stringente e necessita di una presa di posizione. ‘Solo rarissimamente ho valicato questo territorio di confine tra la solitudine e la società (…). Cosa mi lega a questi corpi delimitati, parlanti, lampeggianti dagli occhi? Non sono della loro specie’ (dai ‘Diari’, 1921). 
L’incontro con Milena fu deciso dal destino. Franz cedette, sedotto da una vitalità che non gli apparteneva. Lesse i suoi scritti, la esortò a scrivergli, le raccontò tutto di sé. Infanzia, rapporto con la famiglia, le sue radici ebraiche. La salute appariva spesso al centro dei loro discorsi. ‘Sono malato di mente’, le scrisse una volta, ‘la malattia polmonare è soltanto uno straripare di quella mentale’. Con tenerezza, in ogni missiva, provò ad esprimerle i propri sentimenti, affidandosi alle parole: la esortava ad averlo caro. Dopo averne tanto parlato (‘è il caso’ – ‘forse no’- ‘è assolutamente indispensabile’ – ‘temo di deluderti’), decisero di incontrarsi. A Franz non sfuggiva il fatto che Milena fosse sposata e che il loro avesse tutte le caratteristiche di un amore impossibile. Passarono insieme quattro giorni a Vienna; un periodo che tornerà di continuo nelle loro lettere, come un ricordo struggente.
Nel romanzo di Grossman, Yair non ha mai il coraggio di incontrare Myriam. Lei diviene la sua confidente, il suo alter ego, certo. Ma hanno entrambi famiglia. ‘Hai scritto che, se non fossi certa che alla fine verrò da te, allo scoperto e con coraggio, mi avresti già lasciato perdere. Lo so. Ma dentro di me nutro anche il timore che non riuscirai nel tuo intento. Vorrei aiutarti, lo vorrei davvero, ma ne sono completamente incapace. Cerca di capire. Lo sono per la mia legge, la mia legge insensata’ (pag.96). Inutilmente lei cerca di scuoterlo, di riportarlo alla vita vera. E’ innamorata. Quando lui, spaventato, le dice che non le scrivera’ piu’ (dopo aver portato le lettere di lei perfino nelle camere degli alberghi in cui pernotta,tappezzandone le pareti), Myriam si chiude in un silenzio ostinato che fa eco all’abbandono di lui. Si mette però a scrivere un diario (e sono pagine struggenti), in cui tenta ancora di comunicare con l’uomo che ama. Ma dovra’ arrendersi a un silenzio che, piano piano, le arriva fino al cuore: ‘Se non puoi donarmi tutto questo, non venire. Davvero non venire. Perché probabilmente mi sono sbagliata sul tuo conto’ (pag.294). 
Nel diario passa dal tu alla terza persona per tentare un distacco impossibile. E scrive: ‘All’improvviso capisco che quando scrivevo a Yair, spesso, forse piu’ spesso di quanto fossi disposta ad ammettere, lo facevo anche per quello sguardo furtivo al di sopra della mia spalla. Ah, la tentazione perversa di vedere ancora quegli occhi che si spalancano alle mie spalle, sbalorditi, sbigottiti, frementi per quello che sono capace di fare. Ma ora no, lo sento: in queste pagine, assolutamente no. Non c’è nessuno alle mie spalle, né al mio fianco' (pag.285). Myriam non crede piu’ alla forza delle parole. I fatti, che non sempre la scrittura riesce a esprimere, hanno smentito l’immaginario: bisogna elaborare il lutto.

Lo stesso accadde a Milena, che si trovò dinanzi a un uomo che non c’era, né poteva esserci (‘Desiderio di un sonno profondo che risolva di piu’. Il bisogno metafisico non è che bisogno di morte (…). Così abbandonato da me, da tutto. Rumore nella stanza vicina’, dai ‘Diari’). La loro fu una relazione difficile, complicata dalle circostanze, eppure Franz le aveva scritto: ‘E forse non è vero amore se dico che tu sei la cosa piu’ cara: amore è il fatto che tu sei per me il coltello con il quale frugo dentro me stesso’. 
‘Qualcosa ha vinto sull’amore, l’orrenda sua complicità con i fantasmi’ , dichiarò qualche mese dopo Milena a Max Brod. ‘Certo è che tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna, nella cecità, nell’entusiasmo, nell’ottimismo, in una convinzione , nel pessimismo o in qualcos’altro. Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo. E’ assolutamente incapace di mentire come è incapace di ubriacarsi. E’ senza il minimo rifugio, senza un ricovero. Percio’ e’ esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. E’ come un individuo nudo tra individui vestiti’. L'inizio della discesa cominciò più o meno dopo il secondo incontro (furono in tutto tre) che avvenne a Gmünd: fu breve e non servì a dissipare i dubbi che la corrispondenza aveva generato. Le lettere non sempre giungevano a destinazione, spesso si accavallavano, le parole venivano fraintese. Eppure mai Franz si era sentito tanto compreso da un altro essere umano. Appariva chiaro che una vita insieme non sarebbe mai stata possibile. Milena doveva scegliere tra Franz ed il marito, scelta che avrebbe provocato dolore e sensi di colpa. Lo ammetteva ella stessa. 

L'amore c'era, intenso, ma: "Se tu volessi venire da me, se dunque volessi abbandonare tutto il mondo per scendere da me... non dovresti scendere, bensì sorpassare in modo sovrumano te stessa, in alto, oltre te stessa, talmente che dovresti forse dilaniarti, precipitare, scomparire (certo anche io con te). E tutto ciò per arrivare in un punto che non ha niente di allettante...’, le scrisse Franz. 
L'angoscia sopita riprese il sopravvento: le lettere anziché sollievo recavano inquietudine, a prescindere dal loro contenuto. La comunicazione diventava dolorosa e tuttavia resisteva ancora: ‘O tu sei mia e tutto va bene, o invece ti perdo e allora non c'è niente...niente di niente (…). E certo è qualcosa di blasfemo costruire in questo modo su una creatura umana'. Dopo due mesi, la corrispondenza s’interruppe. Fu lui a dire basta. ‘Cio’ che tu sei per me, Milena, per me al di là di tutto il mondo in cui viviamo, non è nei quotidiani brandelli di carta che ti ho scritto (…). Decisiva è la mia incapacità di arrivare al di là delle lettere... e decisiva è la voce irresistibilmente forte, come dire la voce tua che mi esorta a stare zitto'. Ed ancora, dolorosamente: ‘È all'incirca come quando uno, prima di ogni passeggiata, dovesse non solo lavarsi, pettinarsi ecc - già questo costa fatica ma siccome prima di ogni passeggiata gli mancano sempre tutte le cose necessarie, dovesse anche cucirsi il vestito, farsi le scarpe, fabbricarsi il cappello, tagliare il bastone e così via’. Milena dunque cedette, comprese. 
La vita che venne dopo, e che la riguarderà, sarà storia altra: finira’ i suoi giorni in un campo di concentramento. Franz è già morto, nel 1923 (è del ’20 l’incontro con Milena), ma gli ultimi suoi mesi erano stati allietati dalla presenza di Dora Dymant, con cui era sembrato finalmente libero, forse felice.

Anche Myriam è costretta ad arrendersi dinanzi alla ferita di Yair. ‘Chi è quest’uomo? Temo che non mi permetterà più di scoprirlo. Posso solo indovinare che è tutto quanto insieme: adulto e bambino, uomo e donna, morto e vivo, e molte altre cose e molte altre persone – ma riuniti insieme, senza le divisioni artificiali e violente che esistono dentro di lui’ (pag.299). Eppure qualcosa accade, alla fine del romanzo, nelle ultime pagine scritte in corsivo, le più profonde, le più tremanti. Qualcosa che li unirà e li costringerà a riconoscere quel bambino il cui cuore batte e si dispera dentro di loro. Sarà Yair a dire a Myriam, con il solo sguardo: ‘Stai con me, riportami alla luce. Dimmi: sii luce’. Dammi, infine, il coraggio di amare.

Tullia Bartolini

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